Per la cultura inuit, non c’è niente di peggio che essere soli. La solitudine è una condanna e un anticipo di morte. Si vive in comunità, con gli altri si mangia, si dorme, si va al gabinetto, si passeggia, si pesca e si caccia, a volte ci si ubriaca, con gli altri si vive, insomma, e senza altri non c’è vita. Le case groenlandesi sono composte da un’unica grande stanza comune e in quella stanza vivono a volte fino a dieci o dodici persone, adulti e bambini, anziani e neonati, tutti insieme: la privacy è un concetto che proprio non esiste. D’altra parte, gli eschimesi credono che l’isolamento sia segno d’infelicità. È quindi bizzarro che sia proprio qui, a Tasiilaq, in questo posto letteralmente in capo al mondo, in cui una persona sola è vista come una persona irrimediabilmente infelice, che io mi metta a scrivere di solitudine.
Oltre che riparo, la solitudine può essere anche ebbrezza, una concentrazione tesa, senza interruzioni, in cui il pensiero può svolgersi in tutta la sua completezza, come un filo da pesca che si srotola dalla superficie ghiacciata del fiordo, entra nel foro e sprofonda giù, trascinato dall’amo e dal peso, fino a raggiungere il fondo dell’Oceano senza incontrare nessun ostacolo.
Ma non è necessario essere artisti per desiderare, di tanto in tanto, qualche momento di solitudine. Ognuno ha bisogno di un luogo in cui essere solo, lontano dalle richieste e persino dagli sguardi degli altri, che anche quando sono sguardi animati dall’affetto e dalle migliori intenzioni, sono pur sempre sguardi, e gli sguardi prendono le misure, soppesano, anche involontariamente esprimono giudizi. C’è bisogno di un luogo che sia soltanto proprio. Perché essere soli è stare alla presenza di se stessi. Per qualcuno può essere un’esperienza meravigliosa e per qualcun altro, forse, un incubo. A qualcuno basta un giorno, o una settimana, a qualcuno servono mesi, forse anni. A qualcun altro, è sufficiente un solo istante per essere colto dallo sgomento. Ma non avercelo proprio mai, questo bisogno, nel corso della vita, a me pare sospetto: come fidarsi di chi non si fida di se stesso? Perché avere paura della solitudine vuol dire avere paura di quello sconosciuto che si cela dietro il nostro stesso volto.