sabato 25 agosto 2007

MADRE

Oggi è il giorno giusto per cominciare.
Ho appena sentito alla radio la notizia della morte di Grace Paley, scrittrice e militante politica.
Nata da immigrati ucraini nel 1922, nella sua lunga vita ha scritto tre libri di racconti - The Little Disturbances of Man (1959), Enormous Changes at the Last Minute (1974), Later the Same Day (1985) - raccolti in italiano in un’unica edizione, Piccoli contrattempi del vivere (Einaudi, 2002).
Tutte le sue storie sono ambientate nella comunità ebraica di New York, tra le strade del Lower East Side, lungo la vita di un personaggio indimenticabile: Faith, che durante trent’anni di esistenza letteraria cambia e cresce, è ragazza ribelle e poi moglie fedele e poi madre sola e orgogliosa, si innamora di uomini e ideali, diventa femminista, ecologista, pacifista. Senza mai perdere la Fede, la Grazia e l’Ironia.
Se Raymond Carver è il padre, Grace Paley è la madre del racconto americano contemporaneo. In nome dell'amore che provo per loro, non lo chiamerò mai più minimalismo. È la forma del racconto breve elevata a letteratura: senza questi due scrittori, tanti dei libri che amo non esisterebbero nemmeno. Grace Paley ha insegnato scrittura per molto tempo. Io non l'ho mai incontrata, eppure è una maestra per me. E il diario che oggi inauguro è dedicato a lei.
Qui dentro, ogni tanto, copierò dei racconti. È un esercizio che mi piace fare prima di mettermi a scrivere - un po’ come per un musicista scaldarsi le mani con l'esecuzione di un capolavoro. Questo è il mio bacio d’addio a Grace Paley, madre di tutti noi.
***
MADRE
Un giorno stavo ascoltando la radio. Sentii una canzone: Vorrei vedere mia madre sulla soglia. Mio dio - dissi - io la capisco questa canzone. Tante volte ho desiderato vedere mia madre sulla soglia. In effetti, stava sempre nel vano delle porte a guardarmi. Un giorno stava proprio così, sulla soglia di casa, l’oscurità del corridoio alle sue spalle. Era Capodanno. Disse con tono triste: Se torni a casa alle quattro del mattino a diciassette anni, a che ora tornerai quando ne avrai venti? Fece questa domanda senza sarcasmo o meschinità. Aveva cominciato i suoi inquieti preparativi per la morte. Non ci sarebbe stata, pensava, per i miei vent’anni. E così si interrogava.
Un’altra volta era sulla soglia della mia camera. Avevo appena pubblicato un manifesto politico attaccando la posizione della famiglia nell’Unione Sovietica. Disse: Vai a dormire, per l’amor di Dio, stupida sciocca, tu e le tue idee comuniste. Li abbiamo visti, tuo padre e io, nel 1905. Avevamo già capito tutto.
Sulla porta della cucina disse: Non finisci mai di mangiare. Vai in giro senza meta. Che ne sarà di te?
Poi morì.
Per il resto della mia vita ho desiderato tanto vederla, non solo sulla soglia, ma in un altro gran numero di posti - in sala da pranzo con le zie, alla finestra a guardare su e giù per l’isolato, in giardino tra le zinnie e il tagete, in soggiorno con mio padre.
Stavano seduti su comode poltrone di cuoio. Ascoltavano Mozart. Si scambiavano occhiate stupefatte. Avevano l’impressione di essere appena scesi dalla nave. Di avere appena imparato le prime parole in inglese. Avevano l’impressione che lui avesse appena superato brillantemente un esame col suo professore americano di anatomia. Avevano l’impressione che lei avesse appena lasciato il negozio per la cucina.
Vorrei poterla vedere sulla soglia del soggiorno.
Si è fermata sulla soglia per un attimo. Poi si è seduta accanto a lui. Avevano un giradischi costoso. Ascoltavano Bach. Lei gli disse: Parla un po’ con me. Non parliamo più come una volta.
Sono stanco, disse lui. Non vedi? Oggi devo aver visitato trenta persone. Tutte malate, tutte che parlano parlano parlano. Ascolta la musica, disse lui. Una volta eri molto intonata. Sono stanco, disse.
Poi lei morì.
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Grace Paley, Piccoli contrattempi del vivere
(Traduzione di Laura Noulian - Einaudi 2002)