mercoledì 13 giugno 2012

LE CASE DEGLI ALTRI

   (Quest’anno ricorre il centenario della nascita di John Cheever, e l’editore Feltrinelli lo celebra ripubblicando tutta la sua opera. O pubblicandola per la prima volta, come nel caso di molti dei 61 racconti usciti in questi giorni. Per l’occasione sono stato invitato a tenere una lezione su Cheever alla Scuola Holden di Torino, che ringrazio di cuore per l’ospitalità. Eccone qui un estratto.)

   Che cos’è una casa? È una scatola che divide il mondo in due spazi: un dentro e un fuori. La sua sola esistenza genera un conflitto, materia prima ideale per costruire una storia. Per cominciare a immaginarla potremmo chiederci: che cosa sta dentro la casa e che cosa rimane fuori? In quale rapporto sono questi due spazi, e come comunicano tra loro? Esistono porte e finestre per passare da uno all’altro? Quanto sono permeabili i muri? Quali tracce conserva una casa di chi ci vive o ci ha vissuto, che notizie dà dei suoi abitanti?
   Come scrittore credo di esserne ossessionato. Solo dopo aver finito i racconti della mia nuova raccolta mi sono accorto che parlano tutti di case. E di case parlano i miei racconti preferiti. Ne rileggo spesso uno di Rigoni Stern, Le mie quattro case, in cui Mario ricostruiva la propria storia attraverso le case abitate. Una memoria legata ai luoghi che tutti possediamo, e che compone una biografia possibile di ognuno di noi, ma il bello del racconto è che una di quelle case era andata distrutta prima che lui nascesse, e un’altra non era mai esistita se non nella sua testa. Era la baita che Mario aveva progettato mentre era prigioniero nel lager, un sogno di casa che gli aveva occupato la mente e salvato la vita. Sarebbe stata appartata, lontana dagli uomini e vicina al bosco, essenziale, calda, adatta a curarsi dalle ferite della guerra e a far pace col mondo.
   Quel rifugio ideale di Rigoni Stern me ne ricorda un altro a cui sono affezionato, la Casa di Chef messa in scena da Carver nel racconto omonimo. Il protagonista, Wes, era uno dei suoi soliti ubriaconi. Aveva perso il lavoro ed era stato lasciato dalla moglie, ma adesso era sobrio da qualche tempo e un tizio conosciuto agli alcolisti anonimi, questo Chef, gli aveva prestato una casa per l’estate. Era piccola e vicina all’oceano. In quella casa a Wes era sembrato di poter ricominciare, tanto che dopo un po’ aveva telefonato alla moglie, chiedendole perdono e invitandola a passare l’estate lì con lui. Le case nuove hanno questo di buono, ci illudono di poter rinnovare anche la nostra vita.

   Così, come quegli studiosi dell’Ottocento che smontavano le favole cercandone i meccanismi ricorrenti, ho inaugurato uno studio che sta a metà tra architettura e narrativa: quante cose si possono fare con una casa in una storia? Ci ho riflettuto per un po' di tempo e ne ho trovate alcune. Ho provato ad abbinare a ogni situazione una funzione narrativa, ed ecco qui qualche proposta per un immaginario manuale (accetto suggerimenti per ampliarlo):

- Costruire una casa (fondare una dinastia)
- Comprare casa (diventare adulti)
- Cambiare casa (cambiare vita)
- Scappare di casa (conquistare la libertà, partire per l’avventura)
- Essere cacciati di casa (subire uno sradicamento)
- Avere la casa distrutta, bruciata, allagata (perdere tutto)
- Distruggere, bruciare, allagare casa propria (suicidarsi)
- Avere i ladri in casa (subire una violazione)
- Avere un inquilino in casa (condividere la propria intimità con un estraneo)
- Abitare in casa d’altri (introdursi nell’intimità altrui)
- Avere la casa pericolante (perdere le certezze)
- Avere la casa infestata da topi, scarafaggi, tarli (sentirsi minacciati)
- Avere la casa infestata dai fantasmi (scoprire segreti del passato)
- Chiudersi in casa (essere depressi)
- Sostare davanti alla finestra di casa (aspettare un cambiamento)
- Uno sconosciuto bussa alla porta di casa (novità in arrivo)
- Un poliziotto bussa alla porta di casa (guai in arrivo)
- Una casa in costruzione (la nascita)
- Una casa trascurata (la malattia, la solitudine)
- Una casa illuminata nella notte (la felicità domestica)
- Una casa disabitata (la morte)

   A Cheever piacevano particolarmente queste due: Introdursi in casa d’altri e Subire un’intrusione. A partire dal suo racconto più celebre, Una radio straordinaria, in cui una giovane sposa, Irene, una ragazza sulla cui fronte “nulla ancora era stato scritto”, riceve in regalo dal marito una radio difettosa, in grado di captare le conversazioni nelle case dei vicini. Scoprirà che coppie apparentemente felici nascondono segreti di ogni tipo, ne sarà sconvolta e perderà ogni illusione sulle gioie del matrimonio, compreso il suo. Nel racconto Stagione di divorzio succede un po’ il contrario: una moglie di mezz’età, Ethel, riceve l’inaspettata dichiarazione d’amore di un conoscente a sua volta sposato, il dottor Trencher. Questo dottore è così ossessionato da Ethel da abbandonare il tetto coniugale per appostarsi sotto casa di lei e seguirla ovunque, rinnovando le sue proposte di fuga romantica. Il bello del racconto è la reazione della donna, che dopo un grande turbamento si accorge di non essere mai stata così desiderata in vita sua, ha la tentazione di scappare con il dottore, ma poi sceglie di restare con il marito e allo stesso tempo si condanna all’infelicità. Le case di Cheever non contengono un io, ma quel noi che lo scrittore ha usato spesso come voce narrante: ogni coppia ha una vita apparente e una vita segreta, e questi sono il fuori e il dentro separati dalle mura domestiche. A volte il dentro può essere origliato da una radio speciale, spiato attraverso una finestra, confessato al bancone di un bar grazie a qualche bicchiere, rivelato dall’incuria del giardino o dalla cronica assenza di ospiti, o semplicemente raccontato dagli oggetti che troviamo nelle case degli altri, se siamo abbastanza bravi a capire la loro lingua. Di questo parla quello che è probabilmente il mio racconto preferito di Cheever. Ne ricopio qui l’inizio, sperando che per qualcuno sia il benvenuto nel mondo di un grande scrittore.

   LE CASE AL MARE

   Ogni anno affittiamo una casa in riva al mare e all’inizio dell’estate ci trasferiamo lì con i bambini, il cane, il gatto e la cuoca. Arriviamo in quel luogo che non conosciamo poco prima che faccia buio. Il viaggio verso il mare ha un eccitamento cerimonioso tutto suo - sono tanti ormai gli anni che lo viviamo - con quella consapevolezza di chi siamo, ciò che nei sogni abbiamo sempre saputo di essere - girovaghi e migranti - viaggiatori, insomma, con la tipica sensibilità del viaggiatore. Il vicino ti dà un mazzo di chiavi mezzo arrugginite dalla salsedine, tu apri la porta ed entri in un corridoio buio o pieno di luce, pronto a iniziare la vacanza: un mese che si preannuncia senza preoccupazioni. Ma altrettanto forte, se non addirittura più forte di questa piacevole sensazione di ritorno alle origini, è la sensazione di essere finito nel bel mezzo della vita di qualcun altro. Io tratto con gli agenti immobiliari e non mi capita mai di conoscere i proprietari delle case che prendiamo in affitto, ma la loro capacità di lasciarsi alle spalle il senso della loro presenza fisica ed emotiva è straordinaria. La storia della nostra vita non è di certo scritta nell’aria o nell’acqua, eppure sembra che possa venir raccontata dai battiscopa graffiati, dagli odori, dal gusto nello scegliere quadri e mobili, e il clima che respiriamo in ogni casa è caratteristico quanto gli improvvisi stravolgimenti del tempo in spiaggia. A volte in quel lungo corridoio si prova una sensazione di benevolenza, una purezza e limpidezza di sentimenti verso cui non si può restare insensibili. Qualcuno lì ha passato momenti veramente felici, e si ha la sensazione di aver preso in affitto pure la sua felicità insieme alla sua casa. A volte l’atmosfera del posto sembra misteriosa, e rimane tale fino ad agosto, quando ce ne andiamo. Chi è, viene da chiedersi, la donna nel ritratto al piano di sopra? Di chi è l’opera completa di Virginia Woolf? Chi ha nascosto la copia di Fanny Hill nella vetrina, chi suonava lo zither, chi dormiva nella culla? E chi era la donna che ha dipinto con lo smalto rosso le unghie delle zampe di leone della vasca da bagno? Com’era la sua vita in quel momento?
   Mentre il cane e i bambini corrono giù in spiaggia, noi portiamo dentro le nostre cose: ci sembra di vagare attraverso le dense storie di questi estranei. Calato il buio ci prepariamo un drink, mandiamo i bambini a dormire e, dopo aver preso tutte le misure per esorcizzare la presenza dei proprietari e assicurarci il pieno possesso del posto, facciamo l’amore in una stanza estranea che odora del sapone di qualcun altro. Ma nel bel mezzo della notte la porta del terrazzo si apre e sbatte, sebbene sembra che non ci sia vento, e mia moglie, mezzo addormentata, esclama: “Ma perché sono tornati? Perché sono tornati? Che cos’hanno dimenticato?”

John Cheever, I racconti
(Le case al mare è tradotto da Leonardo Giovanni Luccone)
Feltrinelli 2012