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ANCORA DUE MINUTI
Mia moglie ci raggiunse quasi subito. Io non sapevo più che dire. Era come se mi fossi mangiato la lingua. Mi dette un’occhiata che sulle prime non seppi interpretare. Ma c’era gioia nei suoi occhi, di questo ero sicuro.
- Prendete quello che vi pare.
Le ragazze rimasero sedute. Quasi certamente qualcuna di loro aveva già visto qualcosa che le sarebbe piaciuto, ma nessuna si azzardò a dire niente.
- Avanti. C’è tanta di quella roba qui dentro.
Per prima cosa tirai giù dagli scaffali i peluche. Orsetti, giraffe e maialini. Poi mia moglie aprì l’armadio. Le ragazze impazzirono. Cominciarono a staccare dalle grucce vestiti e giacche e camicette. Confrontavano le misure: quello che non andava bene a una andava bene all’altra.
- Ma avete una figlia?
- La roba era di nostra figlia, sì.
La frenesia delle ragazze si tramutò subito in un dubbio. Mi avvicinai a mia moglie con fare scherzoso.
- Così crederanno che sia morta.
Mia moglie si mise a ridere, mentre le ragazze ci fissavano. Avevano perfino smesso di passarsi i vestiti.
- Non preoccupatevi. Nostra figlia sta benissimo. Si è dovuta trasferire dopo le prime udienze.
- E non li vuole più questi vestiti?
- Ormai porta solo tailleur.
- Davvero? Allora possiamo prenderli?
- Ma certo. Anche i peluche.
- Non sono ricordi d’infanzia?
- Li ha sempre odiati. Più che altro sono ricordi dei suoi genitori.
A poco a poco le ragazze ripresero coraggio. Infilarono le cinture nei pantaloni e i braccialetti nei polsi. Liberarono i buchi dai vecchi orecchini e chiesero a gran voce un calzascarpe.
Mettemmo le cose che le ragazze avevano scelto dentro alcune buste di plastica, e le accatastammo in corridoio.
- Forse è meglio andare.
- È tardi?
- Non vogliamo disturbare troppo.
Mia moglie, che fino a quel momento mi era sembrata padrona della situazione, ebbe un piccolo sussulto. Si guardò intorno.
- Rimanete altri due minuti. Non abbiamo ancora visto quei cassetti.
Le ragazze si voltarono in direzione del mobile che mia moglie stava indicando. Sapevo che c’era la biancheria e allora mi feci da parte. Cominciarono con i collant. Una delle ragazze mi rivolse uno sguardo più insistito delle altre. Socchiusi la porta e mi ritrovai in corridoio insieme alle buste di plastica. Incominciai a origliare.
- Sono tutti coordinati.
- Queste mutandine con cosa vanno?
- Con questo reggiseno a balconcino, vedi?
Mia moglie continuava a parlare ma le ragazze erano meno partecipi. Sentivo solo la voce di mia moglie e un frusciare di stoffe.
- Guardate questa sottoveste di seta.
- È bella. Però...
- Però?
- Sono indumenti troppo personali, troppo intimi.
- Ma no. Meglio a voi che in un cassetto.
- Non viene proprio mai vostra figlia?
- Ogni tanto. Ogni tanto mi compare anche in sogno.
Accostai l’orecchio alla porta per sentire meglio. Mia moglie tirò fuori tutto quel che rimaneva. Una delle ragazze se ne uscì con una risata nervosa. Così no, non l’avrebbero bevuta.
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Luca Ricci, L'amore e altre forme d'odio, Einaudi 2006
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