lunedì 7 settembre 2009

IN LETTURA

Tornato dalla spedizione al Momboso, sconfitto nel corpo ma non nello spirito, ricomincio dai miei americani. Bisognerebbe parlare di Fernanda Pivano ma vorrei farlo bene, dopo avere ordinato le idee. Per ora, ecco un po’ di libri letti e in lettura.

Jay McInerney, L’ultimo scapolo (Bompiani).

Ecco la raccolta dei racconti scritti da McInerney in una carriera di lavoro. Tra il primo (“Sono le sei del mattino. Sai dove ti trovi?”, che poi fu sviluppato per diventare Le mille luci di New York) e l’ultimo (“L’ultimo scapolo”, storia di un playboy invecchiato male che in un certo senso chiude il cerchio dello yuppismo), sono passati 25 anni. A me hanno colpito due fatti: primo, la maestria con cui queste storie sono scritte; secondo, il vuoto assoluto che c'è dentro. Qui gli uomini vogliono andare a letto con donne giovani, e le donne sposare uomini ricchi. L’esperienza umana, nel mondo narrativo di McInerney, si riduce più o meno a questo. Fanno eccezione pochi racconti, tra cui il mio preferito, “Corteo”: a New York una donna, che aveva lavorato come volontaria a Ground Zero nei giorni successivi all’Undici Settembre, si ritrova in mezzo a un corteo di protesta contro la guerra in Iraq. L’atmosfera si surriscalda, i manifestanti vorrebbero arrivare davanti al palazzo dell’ONU ma le vie d’accesso sono state transennate, volano slogan sempre più furiosi, qualcuno cerca di sfondare e interviene la polizia a cavallo. In mezzo agli scontri la donna ha questa visione: un poliziotto che lei ricorda bene, perché nel settembre 2001 avevano lavorato insieme, adesso mena manganellate alla folla dall’alto del suo cavallo. Così scopre che quei tempi, in cui la tragedia delle Torri aveva unito i newyorkesi (e forse gli americani) in un unico popolo, sono finiti per sempre. La scena è bellissima, poi però salta di nuovo fuori il chiodo fisso di McInerney: la donna fugge verso casa pensando che ha voglia soltanto di farsi scopare fino a svenire. E va bè, ognuno ha i suoi problemi.

Richard Yates, Una buona scuola (minimum fax)

Il romanzo è un gradino sotto il solito livello di Yates. Non significa che sia un bidone, ma non colpisce duro come gli altri. Il problema maggiore secondo me è nella narrazione collettiva: c’è un personaggio più o meno centrale (e infatti il primo e l’ultimo capitolo, che sembrano aggiunti su consiglio di un editor, cercano di elevarlo a protagonista), ma tutto il libro è costruito in montaggio alternato, seguendo le vicende di studenti, professori, mogli e figlie di professori, un piccolo mondo chiuso all’interno di un collegio maschile, nel New England dei primi anni Quaranta. Tecnicamente, il tentativo di costruire un affresco generazionale sconta un prezzo salato: io non sono riuscito ad affezionarmi a un solo personaggio. Per epoca e ambientazione mi è stato difficile non pensare continuamente a due modelli: uno è L’attimo fuggente, l’altro Il giovane Holden. Forse è proprio per colpa di Holden che Yates non se l’è sentita di seguire da vicino il suo alter ego, un ragazzino di New York che viene spedito in collegio, e dopo un inizio durissimo comincia a farsi strada scrivendo sul giornalino scolastico. Penso che il libro sarebbe stato migliore se si fosse concentrato su di lui.

In lettura: David Foster Wallace, Questa è l’acqua (Einaudi)

Non so, forse dovrei fondare un comitato di protesta contro le bandelle di Einaudi Stile Libero. Ormai non ne trovo una che dica onestamente che cosa c’è dentro il libro. Su questa leggo: “I sei racconti di Questa è l’acqua, scritti tra il 1984 e il 2005, offrono uno sguardo di insieme sulla straordinaria avventura artistica di Wallace, e una summa delle sue tematiche nei diversi stili con cui le ha affrontate ed esaltate”. Poi apro il libro e, per un mio vizio incurabile, vado a controllare le date dei racconti: ce n’è uno del 1984, due del 1987, uno del 1989, uno del 1991. Poi c’è la trascrizione di un discorso tenuto da Wallace nel 2005. Dunque si tratta, in realtà, di cinque racconti giovanili (Wallace esordisce nel 1987 con La scopa del sistema, e la sua prima raccolta di racconti, La ragazza dai capelli strani, è del 1989), più un saggio recente. Non sei racconti. Non sei racconti scritti tra il 1984 e il 2005. Non uno sguardo di insieme sulla straordinaria avventura artistica né una summa delle sue tematiche, ma piuttosto, come diceva dei suoi primi racconti Thomas Pynchon, un lento apprendistato, la palestra di uno scrittore che stava per diventare grande.

Dopodiché, come al solito, le balle redazionali non c’entrano nulla con la qualità del libro. Nella postfazione, il curatore Luca Briasco illustra molto chiaramente la genesi e la natura di questa raccolta. Io per ora ho letto i primi tre racconti e posso dire che mi sembrano buoni, ma assolutamente inferiori a quelli della Ragazza dai capelli strani (e infatti qualcuno, un editor o lo stesso Wallace, nel 1989 ha deciso di lasciarli fuori, e in seguito di non recuperarli per altre antologie). Invece il testo finale, “Questa è l’acqua”, è un piccolo capolavoro per chi, come me, ha il culto della scrittura raccontata dagli scrittori. Parla, credo, della consapevolezza e della lucidità, della compassione e dell’immedesimazione, dell’attenzione costante alla sostanza in cui siamo immersi, le doti necessarie a un bravo scrittore ma anche a un essere umano decente. Il testo vale da solo il prezzo esorbitante del libro (un dettaglio a cui non faccio mai caso, ma questa volta è un tascabile da 16,50 euro per 166 pagine, cioè 10 centesimi a cartella: mi sono perso qualche impennata recente dell’inflazione?).

In lettura: Ann Beattie, Gelide scene d’inverno (minimum fax)

Ma questa è un’altra storia e, come direbbe Michael Ende, la racconteremo un’altra volta. Prevede anche una sorpresa, perciò segnatevi la data del 9 ottobre e state all’occhio.

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