giovedì 13 maggio 2010

NEBBIA

Dopo una settimana è uscito il sole, e ho ampliato le mie esplorazioni. Nei pascoli spuntano i bucaneve. Ma basta cambiare versante, da sud a ovest, e la neve prende il posto del prato. La montagna è impregnata d'acqua che sgorga dappertutto: da un buco tra i sassi, dalle radici scoperte di un larice. Dopo mezz'ora di sentiero affondo nella neve fino al ginocchio, e decido di tornare indietro. Vengo giù per la pista da sci che adesso è tutta mia: il fondo è duro, ghiacciato, e scendo a balzi urlando come uno yeti. Immagino di seminare il terrore tra gli animali del bosco. In pochi minuti sono di nuovo a casa.

Pensavo che il senso di solitudine aumentasse con il tempo, invece è successo il contrario: dopo giorni interminabili davanti alla finestra, adesso sono pieno di cose da fare. Leggere, scrivere, raccogliere legna, pulire il prato intorno alla casa. Odio gli sciatori. D’inverno buttano fazzoletti, lattine, sacchetti, mozziconi di sigarette: fanno un buco nella neve e lo ricoprono, pensando che i loro rifiuti scompaiano nel nulla. Invece li trovo io tre mesi dopo. Ieri ho fatto un mucchio di cartacce e l’ho bruciato insieme all’erba vecchia. Mi sono legato uno straccio sulla bocca sentendomi come il tenente Dunbar, quando arriva all'avamposto deserto. Forse anche a me, tra un po' di tempo, qualcuno darà un nome nuovo.

La neve che si scioglie regala sorprese. Il teschio di una marmotta, la corteccia del mio bastone dell'anno scorso. L’arbusto di pino uncinato che trovai tra i detriti di una valanga, e trapiantai vicino a casa: ora che è sopravvissuto all’inverno, l’ho battezzato Capitan Uncino. Se ce l’ha fatta lui, sei mesi sotto la neve, il mio è un gioco da ragazzi.

Leggo Richard Yates, Cold Spring Harbor. La conferma di avere incontrato un grande scrittore. L’altro ieri ho finito Truman Capote, L’arpa d’erba, e ora leggere Yates è come bere acqua di fonte dopo un vino corposo. Il senso di meraviglia e di verità che si prova, leggendo cose difficili dette con parole facili. Ho copiato questa frase: La ragazza, però, stava crescendo in fretta. Se uno fosse riuscito a portarla via da quel buco schifoso, a tirarla fuori, alla luce fortificante del sole, e a farla crescere e ad averla e a tenersela abbastanza a lungo, niente di più facile che lei si trasformasse in una donna per cui sarebbe valsa la pena di dare il sangue, la vita e tutto il resto. E se non altro, sarebbe valsa la pena di provarci. Ringrazio la mia amica Andreina per la traduzione, e le mando un saluto se passa di qua.

Mentre scrivo si alza una nebbia densa, che da queste parti arriva all'improvviso. È quando dalla valle si vedono le nuvole avvolgere la montagna. Dalla montagna invece le nuvole appaiono così.

4 commenti:

  1. Mi imbatto nel tuo blog girovagando un web abbastanza spento e privo di "cose" interessanti.
    Questo tuo rapporto con la montagna, e con la natura che la circonda, mi ricorda le mie passeggiate che abitualmente compio nel mio piccolo paese di montagna. Diciamo che mi sono familiari, seppur il tuo isolamento sia davvero particolare e pieno di fascino.
    Credo che il tuo sia il luogo giusto per attente e profonde riflessioni, connesse a piccole grandi esperienze, che possono cambiare la prospettiva con cui si osserva il mondo. O molto semplicemente, il tuo è un modo di stare bene con te stesso in relazione alla natura, a elementi vivi che ti circondano e che rispetti, così come loro rispettano te.
    Forse è la mia stessa sensazione.
    Saluti

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  2. Caro Paolo,
    mi è parso di esserci, lì, tra la neve offesa da incauti sciatori e la bruma bassa, di una primavera che diventa nebbiosa all'improvviso.
    Non sei nelle terre estreme ma sei pur sempre tra i tuoi angeli di desolazione.

    Luca

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  3. mi hanno informato che il 15 giugno verrai in un certo posto a fare una certa cosa. leggendo il tuo blog siamo tutti d'accordo nel pensare che dovresti proprio trovarti bene, da noi... ;-) a presto

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  4. Paolo, sono io che ringrazio te. ci sei mancato, a Torino :)

    Andreina

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