venerdì 25 maggio 2012

RAY NE FA 74

   In principio fu Bukowski. Il mio incontro con Hank: Storie di ordinaria follia, preso in prestito in biblioteca e letto invece di studiare Foscolo e Leopardi. Sesso e whisky da quattro soldi, stanze pulciose e corse dei cavalli al posto degli interminati spazi, i sovrumani silenzi, il greco mar ove vergine nacque Venere: fu una folgorazione. Gli altri romanzi e racconti seguirono in ordine sparso, nelle edizioni Guanda e Feltrinelli che possiedo ancora - Donne, Factotum, Post Office, Confessioni di un codardo, il Taccuino di un vecchio sporcaccione. Era l’estate tra la quarta e la quinta superiore. In settembre sperimentai per la prima volta quel senso di perdita che ogni lettore conosce bene: quando esaurisci i libri del tuo scrittore preferito è come se fosse morto un’altra volta, e solo a te, quel giorno, il mondo sembra un luogo triste e più vuoto. Passai a John Fante proprio per alleviare il lutto. Fu Hank in persona a indicarmi la strada. Era stato lui a riscoprire Fante, a salvarlo dall’oblio e convincere il suo editore a ripubblicarlo. Mi buttai nelle avventure di Arturo Bandini come se fosse un compagno di bevute del vecchio Chinaski. La strada per Los Angeles, Sogni di Bunker Hill, Aspetta primavera Bandini. Ora personaggi e titoli si confondono nella mia memoria, e io provo per loro l’affetto riservato agli amori giovanili. Avrei un po’ di timore a rileggerli, come a incontrare un certa ragazza insieme al marito e ai figli. E se la trovassi sformata dalle gravidanze, instupidita da biberon e pannolini? Magari invece scoprirei una donna affascinante, e due scrittori del tutto nuovi: l’alcol e il sesso mi colpirebbero meno, apprezzerei dettagli che ai tempi non notavo. Il rapporto di Bandini con il padre. L’Abruzzo trapiantato in California. Chinaski dietro uno sportello postale con i postumi della sbornia. I gesti delle ubriacone sfatte raccattate al bar.

   Poi venne Raymond Carver, ramo dello stesso albero genealogico: avevo letto una sua poesia su una serata passata con Bukowski. Quella in cui Hank afferma che può bere birra a volontà, ma di non dargli whisky se no diventa cattivo. E poi attacca a parlare della sua nuova ragazza e dice: voi non sapete che cos’è l’amore. In un’intervista Carver disse che Hemingway era il suo maestro, ma Bukowski il suo eroe. Bastava questa dichiarazione per leggermelo tutto. Mi ricordo bene le vecchie edizioni dei libri di Ray, prima che minimum fax lo rilanciasse: i Garzanti gialli, la collana degli Elefanti; l’edizione Serra e Riva di Cattedrale che poi mio padre mi ha regalato; gli introvabili Pironti che a volte scovo nelle librerie dell’usato, me li porto via per pochi soldi e mi sento come quelli che scoprono un Picasso in un mercatino. Questo per dire che anche la memoria di un lettore è una raccolta di storie: che copertina aveva quel libro, dov’ero quando l’ho letto; c’è stato quello che ho rubato ficcandolo nei pantaloni, e ora che ho tanti amici librai me ne vergogno ma non avevo soldi; quello leggendario perché risultava nelle bibliografie, tutti ne avevano sentito parlare ma non si trovava da nessuna parte; e poi quel libro fotografico, Carver Country, in cui miracolosamente personaggi e luoghi diventavano reali, e potevi vedere con i tuoi occhi la segheria di Yakima, la casa di Chef, la clinica per alcolisti in California, la faccia della moglie di Ray rovinata dalle botte, lo spazzacamino e perfino il cieco di Cattedrale. Ora di quel libro possiedo tre versioni: una americana, una francese e una italiana. La mia collezione di Carver comprende pure la prima edizione autografata di Where I’m Calling From. Penso a lui ogni volta che arriva il 25 maggio perché è il suo compleanno: sembra passato un secolo da quando è morto eppure oggi festeggerebbe i 74 anni, non molti in fondo, di certo non troppi per scrivere buoni racconti. L’anno di nascita, 1938, me lo ricordo sempre perché è lo stesso di mia madre. Gli faccio tanti auguri brindando a whisky e latte come in Vitamine, quando è quasi mattina, la festa è finita e tutti sono ormai crollati, e l’uomo invece di andare a dormire si siede al tavolo della cucina, pensa all’amica della moglie e al mezzo bacio che è riuscito a strapparle, e poi si versa un altro bicchiere deciso a tenere duro.

   In un racconto indimenticabile - Otto scrittori - Michele Mari parlava di Verne, Defoe, Stevenson, Conrad, Melville, Poe, London e Salgari come di un’unica voce senza tempo, una specie di dio narratore di storie marinaresche, incarnato di volta in volta in nomi diversi. Provo lo stesso sentimento per Fante, Bukowski e Carver. È la voce di un bianco americano, un uomo con pochi talenti e qualche sogno infranto, che va su e giù per il paese non a caccia di fortuna, ma in fuga da debiti e matrimoni falliti. Da bere c’è whisky allungato con acqua, oppure birra in confezione da sei. I lavori cambiano sempre, i soldi non bastano mai, le donne bevono quanto gli uomini e comunque, come diceva Hank, sono donne di altri: quando gli altri le scaricano le raccogliamo noi.
   La firma di Carver che ho sotto gli occhi non assomiglia a quelle degli scrittori americani che ho incontrato di persona, che sono grandi, tonde, a tutta pagina, e al collezionista danno soddisfazione. La sua è uno scarabocchio tremolante. Ray diceva di non amare la sua firma: gli ricordava le cambiali, i debiti e i due processi per bancarotta che aveva dovuto subire. Avrebbe preferito non firmare più niente in vita sua. Del successo raggiunto negli ultimi anni non apprezzava tanto la fama, quanto la stima di se stesso che aveva ritrovato. Era stato, secondo le sue parole, un fallito, un alcolista, un imbroglione, un violento, un bugiardo, un ladro. Una faccia nello specchio che preferivi non guardare, un nome che non ti andava di vedere scritto. Una volta era quasi morto, e poi era rinato.
   La sua tomba si trova a Port Angeles, in un piccolo cimitero in cima a una scogliera. Poco più in basso si infrangono le onde del Pacifico, oltre lo stretto si vede Vancouver Island. Lì finiscono gli Stati Uniti e comincia il Canada. Sulla lapide c’è una delle ultime poesie di Ray:

E hai avuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E che cosa volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.



8 commenti:

  1. grazie paolo. Ho bisogno di emozionarmi mei tuoi racconti. Un caro saluto da Ferrara. Riccardo

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  2. Non potevo aspettarmi di meglio!
    Ora che sto finendo "Vista da Castle Rock" e che mi attendono "America oggi" nella versione Minimum e "Cattedrale" ,ahimè nella edizione Einaudi.
    Grazie
    Un abbraccio

    Nunzio

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  3. Le vecchie edizioni della Garzanti... Vuoi star zitta per favore e Di cosa parliamo quando parliamo d'amore nelle collane degli Elefanti... In tre righe mi hai scaraventato indietro di qualche decina d'anni, alla mia storia con Carver (perché ognuno di noi ha un rapporto stretto, personale, esclusivo con gli autori che ama).
    A proposito: ho letto Dove sono andati a finire i soldi di K, Canty e l'ho trovato molto interessante. L'hai letto? Che ne pensi?
    LWV

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  4. Comprendo benissimo ciò che scrivi nella prima parte. Anch'io ho avuto la folgorazione Fante e quando ho finito i suoi libri (che purtroppo non sono neanche tanti) ho avuto la sensazione... che fosse morto di nuovo.
    Caver l'ho letto tutto grazie alla Minimum Fax. le edizioni erano bellissime, le copertine eleganti e molto evocative.
    Di Bukowski avrò letto più o meno un terzo di quello che ha scritto. Mi aspetta un bel po' di lettura di hank, a partire dai racconti.

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  5. Riccardo, Antonio, grazie.
    Nunzio, ma come, non hai ancora letto "Cattedrale"? Devo dire che ti invidio un po'. "America oggi" è stato un colpo di coda del mio amico Marco, quando si è visto portare via Carver da Einaudi, ma a essere sinceri è un libro che ha poco senso: quei racconti sono già contenuti in altre due raccolte. E poi per leggere tutto Carver di libro ne basterebbe uno, "Da dove sto chiamando".
    Lars, di Canty ho letto i racconti, "Tenersi la mano nel sonno". Gran bel libro. L'ho anche accompagnato quando è venuto in Italia, in cambio mi ha invitato nel Montana per andare a pesca, prima o poi ce la farò a gettare la mia lenza nel Grande Piede Nero...

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    1. eh no...invidia...anch'io voglio venire a pesca nel Montana con Canty..

      ti seguo sempre con piacere...

      un caro saluto.
      Andrea Bonnin

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  6. Carver, io, l'ho scoperto con il libro "Da dove sto chiamando" della minimum fax. La prima volta che lo lessi non mi fece una grande impressione, perlomeno nulla in confronto alla scoperta di Hemingway, Kerouac, Cechov, ecc. E poi, sì, se devo dirla tutta, le copertine della minimum fax per i libri di Carver le ho sempre detestate: fredde e inquietanti le immagini impresse nella copertina, in contrasto, quasi un vero e proprio conflitto metaletterario, con le storie di Ray, così cariche di umanità, ironia, calore, dolcezza. Mi ricordo che coprivo le immagini delle copertine con foto che ritagliavo da riviste e volantini, tipo la locandina de "Il monello" di Chaplin (sono convinto che Carver e Chaplin si sarebbero trovati a meraviglia se avessero avuto la fortuna di conoscersi e, magari, collaborare) o una foto di Robert Doisneau (raffigurava una coppia di bambini che tirava una carretto di legno). Cose così, insomma. Solo all'epoca dell'uscita di Carver nei Meridiani Mondadori, e l'acquisto del volume da parte della biblioteca, mi venne la curiosità di andarmelo a rileggere, e questa volta fu una lunga storia d'amore che ancora non è finita. Il mio Carver preferito è quello di "Cattedrale", "Elefanti", insomma, il Carver della maturità, anche se il mio racconto preferito è "Principianti".
    Pietro

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