martedì 6 novembre 2018

SENZA MAI ARRIVARE IN CIMA

Da qualche anno i miei libri preferiti sono libri di viaggio. Le vite dei lettori hanno stagioni, e a un certo punto della mia l'interesse si è spostato dalle storie allo sguardo, alla scrittura intesa come esplorazione di sé e del mondo. La narrativa di viaggio è un vecchio genere, forse è il viaggio stesso ad appartenere a epoche più romantiche della nostra, e io sono legato ad autori per cui viaggiare era un'arte e una filosofia, qualche volta un mestiere, sempre un modo di vivere. Della scrittura di viaggio, mi piace che nasca da un'attentissima osservazione. Ma l'osservazione non basta, per farne racconto il paesaggio deve dialogare con chi lo attraversa, diventare specchio di un paesaggio interiore. Direi che i grandi racconti di viaggio mettono in relazione un luogo e una personalità memorabili. I miei preferiti: Festa mobile di Hemingway e La mia Africa di Karen Blixen, In Patagonia di Chatwin e Nelle foreste siberiane di Sylvain Tesson, Il leopardo delle nevi di Peter Matthiessen e Un indovino mi disse di Tiziano Terzani. Gli ultimi due mi sono molto cari da quando la ricerca del viaggio mi ha portato in Himalaya. “Per tornare viaggiatori bisognerebbe ritornare a essere come gli unici veri viaggiatori”, disse Terzani: “i pellegrini.” Ho trovato il mio pellegrinaggio e il racconto che ne ho scritto intende essere, anche, un dialogo con Tiziano, che considero un maestro dell'arte di viaggiare, di cercare, di osservare e voler capire, di interrogarsi, di amare il mondo e la sua varietà, di rendere la scrittura uno strumento di tutto questo. Il libro si intitola Senza mai arrivare in cima ed esce oggi. Parla di quel che cerchiamo quando andiamo in montagna, e di qualche altra cosa. Il mio amico Nicola è riuscito a essere allo stesso tempo un personaggio del libro, il suo destinatario e l'autore della copertina; sono contento che sia, anche, un libro sull'amicizia.

Infine, è un libro che aiuta delle persone. Con i guadagni sostengo due associazioni che ho conosciuto in Nepal: Sanonani House e CASANepal, due Onlus italiane che operano a Katmandu, case-famiglia per bambini e donne vittime di violenza. Quel piccolo paese ai piedi dell'Himalaya mi ha dato tanto, nella vita e nella scrittura, e in questo modo spero di potergli ridare qualcosa indietro.

“Tashi delek” è il saluto tibetano, vuol dire più o meno “Buona fortuna”, e in Nepal lo si sente quando, superata una certa quota, si entra nel mondo dell'alta montagna e anche l'umanità cambia. Cambiano i volti, gli abiti, cambia la lingua, compaiono gli yak al pascolo e i segni di devozione che si agitano al vento. Il “Namasté” delle pianure e delle valli cede il passo al saluto dei montanari: lassù è ormai Tibet, il regno perduto. Dunque, tashi delek.


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