Anche la carriera di Annie Proulx non è di quelle dritte e lisce come strade asfaltate. La scrittrice ha origini canadesi, ma dice di avere sempre vissuto nel Wyoming. È nata nel 1935 ma ha esordito a più di cinquant’anni, nel 1988, e deve averne accumulata di vita nel frattempo, perché da allora ha scritto cinque libri e vinto tutto quello che poteva, dal Pulitzer al PEN/Faulkner al National Book Award, una carriera fulminea e tardiva come quella di Thom Jones. A vederla nelle foto assomiglia ai suoi racconti: durezza e dolcezza che si mescolano insieme per averne viste molte (e nonostante le cose viste, avere mantenuto una certa fiducia nelle possibilità del genere umano), e poca femminilità, o almeno una femminilità poco esposta, come una donna cresciuta tra gli uomini e abituata ai loro codici di comportamento.
Insomma, prendete Cormac McCarthy e Alice Munro, e la figlia illegittima di questa unione sarà un produttore di storie molto simile ad Annie Proulx. Secondo me il libro migliore è il primo, Distanza ravvicinata. Leggetevi il racconto che ha ispirato il film di Ang Lee, Gente del Wyoming. Oppure cominciate da quest’ultima raccolta e leggete Quelle vecchie canzoni di cowboy, la storia d’amore tra Archie e Rose, ambientata nel 1885. I due si sposano a sedici anni e ottengono un pezzo di terra dal governo per avviare una piccola fattoria: ad Archie piace cantare le vecchie canzoni, Rose adora stare lì ad ascoltarlo. Lui è un gran lavoratore e lei è innamoratissima e pronta a tutto, anche ad aspettarlo da sola, incinta, badando alla casa e alla terra, mentre lui fa la stagione come mandriano per mettere insieme il capitale necessario ad avviare il ranch: sembra l’inizio di un’epopea da pionieri, una di quelle leggende che daranno vita alle grandi dinastie del West, se non fosse che, scrive Annie Proulx nelle prime righe, solo in pochi vissero abbastanza per raccontarlo, mentre “in molti ebbero vita breve e vennero presto dimenticati”, e la storia di Archie e Rose è una di queste. Leggetevi l’ultimo racconto, A gambe all’aria nel fosso. È la vita triste di Dakotah, figlia di una ragazza madre “bella da morire e priva di scrupoli”, che l’ha messa al mondo appena prima di scappare di casa. La bambina è cresciuta con i nonni nel Wyoming più depresso che si sia mai visto, prendendo ordini e botte, e per sfuggire agli ordini e alle botte lei stessa imbocca la scorciatoia sbagliata, abbandona la scuola troppo presto e si sposa con il primo che passa, comincia a fare la cameriera, scopre di aspettare un bambino. Finirà ad arruolarsi nell’esercito per sfuggire a un matrimonio andato a rotoli e alla disoccupazione, e andrà avanti così, sempre più giù, soltanto per imparare, quando le sembra di aver toccato il fondo, che ogni successiva caduta è “solo l’inizio della sua discesa nell’acqua scura e fangosa”.
Ci sono scrittori dalla pelle dura come cuoio di sella, e la cui voce suona roca non tanto per il tabacco fumato e il whisky bevuto, ma per il freddo preso nei lunghi bivacchi all’aperto, durante inverni che non finivano più. Annie Proulx è tra questi.
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