Da allora sono successe un po’ di cose. Tra queste il laboratorio di scrittura al Circolo Malacarne di Verona, che Susanna mi ha invitato a tenere completamente al buio, senza conoscermi né avermi mai visto in faccia. È stato il luogo magico in cui è nata la nostra amicizia, oltre ad alcuni dei racconti pubblicati in questo libro. Susanna usciva da una lunga malattia, ed era in uno stato di grazia tale che bastava dirle: scrivi una cartolina a un vecchio amico, o racconta la prima bugia che ricordi di aver detto da bambina, o descrivi una foto di famiglia, e lei se ne usciva con una storia che era già pronta per la tipografia. Tra le altre cose successe in quel periodo, l’avventura con la Shake è finita ancora prima di cominciare. Non è che sono sceso dalla nave, è proprio che sono rimasto all’osteria del porto. Ho messo il naso dentro il mondo editoriale e ho capito che non era il mio mestiere. A quel punto sono tornato da Davide e, memore della vecchia promessa, gli ho detto più o meno quello che Matteo aveva detto a me: devi pubblicarla, perché è bravissima. E adesso, ragazzi, finalmente ci siamo.
Ho passato molto tempo a scrivere e riscrivere un testo che potesse accompagnare questo libro, e ora non saprei immaginarne uno diverso. Eccolo qui. Le vite delle persone non sono romanzi, sono raccolte di racconti. Frammentarie, discontinue, disseminate di buchi neri e illuminate da verità intraviste, manipolate dalla memoria che filtra, cancella, riordina, riscrive. È il modo in cui Susanna Bissoli ci racconta le soglie di Caterina. Infilando nella cordicella del suo primo libro le perline colorate di tutti gli addii e le partenze, tutte le esperienze di perdita che una vita può sopportare: dell’infanzia, della madre, dell’amore, del corpo, della terra sotto i piedi. Leggendo queste sedici storie, la voce che mi suona in testa è quella di Grace Paley. Anche la scrittura di Susanna riesce a maneggiare la malattia e il dolore, perfino a ballare con la morte restando miracolosamente gioiosa. La gioia che c’è dentro è gioia dell’incontro, di avere a che fare con altri esseri umani, di scoprirli tutti diversi e tutti strani. È gioia di ricordare, raccontare, giocare con le parole della memoria: il dialetto veneto dell’infanzia, il greco della libertà e dell’amore, l’italiano zoppo dei migranti in cui, prigioniera di casa sua, a Caterina sembra di ritrovare la voce del mondo.
A volte è difficile dire che cosa si prova, e a volte invece è facilissimo. Quando è uscito il mio primo libro ero felice e triste: felice perché il mio grande sogno si stava realizzando, e triste perché da quel momento bisognava trovarne un altro, o rassegnarsi a vivere senza. Oggi, invece, sono felice e basta. Brava Susi, non so neanche più quante volte te l'ho detto. Brava. Ti mando un enorme abbraccio.
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