lunedì 14 giugno 2010

CANI

Da una settimana sono arrivati i pastori, e la mia solitudine è cambiata. Ora ho qualcosa da osservare mentre scrivo. Il prato davanti a casa assomiglia a una piccola valle, tagliata da un torrente senza nome: il mio versante è giallo di fiori di tarassaco, con l’erba che cresce rigogliosa ormai da un mese. Su quello opposto, se mi sveglio presto la mattina, posso spiare il pastore padre che sposta i confini del pascolo, avanzando i paletti di due o tre metri al giorno in modo da razionare il prato. Intanto il pastore figlio apre il portone della stalla, da dove sette giovani vitelli e una ventina di mucche adulte si precipitano giù, verso la nuova striscia di erba alta. Sono ore di campanacci e sguardi di bovini, in cui cerco di scrivere e non pensare alla mucca di David Foster Wallace in Piccoli animali senza espressione. Verso sera, mentre mi preparo la cena, dalla stalla si alzano imperiosi muggiti: dopo un po’ tre o quattro bidoni d’acciaio compaiono davanti al portone, e il fuoristrada della latteria comunale viene a ritirarli. Allora davvero la giornata è finita.

Ma il cambiamento più grande, nella mia vita quotidiana, è stato provocato dai cani. Siccome metto via per loro le croste di formaggio, vengono a trovarmi diverse volte al giorno (a dire la verità, anche se non è da montanaro, ogni tanto sostituisco alle croste qualche biscotto, di quelli che ho in casa per gli ospiti che fanno colazione, e che tra me chiamo i biscotti degli amici). Hanno un campanello appeso al collo e così li sento arrivare da lontano. Per qualche accordo sindacale uno dei tre rimane sempre al pascolo, mentre gli altri due sono liberi di gironzolare finché arriva il momento di riportare le bestie nella stalla. Allora, richiamati dal pastore figlio, agiscono come un sol uomo: accerchiano la mandria abbaiando, mordono ai fianchi le mucche più pigre e inseguono quelle indisciplinate, le spingono in gruppo verso l’alpeggio. È uno spettacolo vederli all’opera.

Si chiamano Black, Billy e Lampo. Black è il più vecchio, un gran bastardo nero con sei dita nelle zampe posteriori e l’orecchio destro sbranato in chissà quale rissa. Per questo ho deciso di non chiamarlo Black, ma Mozzo. Si vede che ormai è a fine carriera: alle mucche preferisce l’ombra degli abeti, o gli odori dei selvatici che pigramente segue nel sottobosco. Mozzo non ama le carezze ma ama molto la ciotola di plastica che lascio fuori dalla porta ogni sera. Billy è un cane lupo e un lavoratore infaticabile, per questo io e lui ci conosciamo meno. Se la mandria è tranquilla, riposa accanto ai piedi del pastore figlio. Quando viene da me sembra sentirsi un po’ in colpa: prende la crosta di formaggio e scappa via, però ho notato che gli piacciono le ragazze. Lampo è il più giovane, un border collie con una passione per i rametti di larice lanciati a grande distanza. Ama farsi grattare dietro le orecchie e mi lascia un buon odore di stalla sulle mani. Sta imparando il mestiere da Billy, ma si vede che è alle prime armi e ogni tanto fa casino: ieri mattina, sotto il diluvio, i sette vitelli si sono ammutinati e tutti insieme hanno superato il confine del pascolo, lanciandosi nell’erba alta come su una tavola imbandita. Allora il pastore figlio ha emesso un gran fischio. Billy è partito subito, Lampo l’ha visto da casa mia e gli è andato dietro, Mozzo è rimasto a osservare la scena da sotto il tavolo che ho in giardino, all’erta ma defilato, come al suo solito. Billy e Lampo hanno riportato i fuggitivi in gruppo ma poi Lampo se l’è presa troppo con il vitello capo, ha continuato a morderlo e abbaiargli addosso e così quello è scappato di nuovo, e gli altri sei dietro. Billy è andato a riprenderli, e la scena si è ripetuta uguale. Lampo li ha spaventati e loro sono scappati di nuovo. Billy a quel punto era fradicio di pioggia: ha guardato i vitelli, ha guardato Lampo, ha guardato il pastore figlio che bestemmiava agitando il suo ombrello, poi ha girato i tacchi e se n’è andato verso il bosco. Il pastore figlio gridava: Billy! Ma Billy ormai era entrato in sciopero. È sparito tra i larici e non si è visto più. Lampo scodinzolava vicino al padrone, per lui sarà stato un gioco. I vitelli banchettavano nell’erba che avrebbe dovuto essere il loro pasto di domani. Veniva giù un’acqua da spazzarci via tutti, lavarci via dalle montagne come foglie secche, e Mozzo ha finito il suo terzo biscotto, si è stiracchiato la schiena e ha brontolato sotto il tavolo come un vecchio stanco, rassegnandosi all’idea che adesso toccava a lui.

5 commenti:

  1. Che bello.
    E' un vivere intenso e dolce,
    Capitano.

    RispondiElimina
  2. Ciao Capitano. Sei ancora tra alberi, suoni di silenzio e cani? Mi sono venute in mente certe cose lette qui, la scorsa settimana, mentre respiravo quel verde succulento, quel cielo tanto vicino alle nuvole
    Elena

    RispondiElimina
  3. questa è una paginetta meravigliosa.
    ogni tanto torno a leggerti e continuo a scoprire affinità

    ieri ho iniziato la tua seconda raccolta.
    ti seguo, mi piace come racconti e come cresci.
    grazie

    RispondiElimina