Ho continuato a salire, ormai chi mi fermava più? Adesso ero in cresta tra le due valli della mia vita e camminavo su lastre di pietra rotte dal ghiaccio, e su quel muschio morbidissimo che si forma a tremila metri. Da un lato dello spartiacque, quello dell’età adulta, il cielo era limpido, di un azzurro così pieno che sembrava avere massa e volume. Dal lato dell’infanzia salivano sbuffi di nuvole che si arricciavano dissolvendosi ai miei piedi. Di là ho passato vent’anni, di qua gli ultimi tre: sono contento che siano posti diversi ma vicini (mai tornare dove sei stato felice, diceva il poeta, però dà un certo conforto sapere che i tuoi ricordi sono lontani solo un paio d’ore a piedi). Poi ho visto alcune sagome scure, forme inconfondibili sulla roccia frastagliata. Mi era successa la stessa cosa proprio un anno fa, e oggi questo era il mio piano segreto: speravo che i loro movimenti obbedissero a qualche calendario, e che li avrei ritrovati all’appuntamento. Quando sono arrivato in cima ero in mezzo a un piccolo branco di sei stambecchi. Gli stambecchi non sono prudenti come i camosci, né ingenui come i caprioli: hanno un’aria maestosa e indifferente, come se per loro l’uomo fosse una minaccia da poco. Stanno lassù, sulle creste e le vette sopra i tremila, perché hanno caldo e perché amano controllare il mondo dall’alto. Lì non c’è niente, solo muschio e qualche filo d’erba, vento a tutte le ore e luce abbagliante. Il branco era composto da un maschio adulto, bello come un dio delle capre, il pelo lucido e le corna da re; due femmine più giovani e i loro cuccioli nati da pochi mesi; e un caprone così vecchio e stanco da diventare subito il mio preferito. Aveva il manto spelacchiato e il collo completamente bianco, e due corna di cui non riusciva più a reggere il peso. Arrancava con la testa china in fondo al gruppo. Appena sono stato avvistato il capo stambecco si è messo tra me e gli altri, fissandomi dritto negli occhi. Faceva un verso di battaglia, come una F prolungata e soffiata a pieni polmoni. Aveva corna lunghe un metro e almeno mezzo quintale di muscoli a sostenerle, e gli sarebbe bastato poco per cacciarmi da casa sua, se non dal mondo. Ma io cercavo di fargli capire che ero venuto in pace. Femmine e cuccioli sono saltati su un sasso mettendosi al sicuro dietro di lui, mentre il vecchio per raggiungerli ha dovuto compiere un lungo giro.
Io mi sono seduto per terra e non ho più fatto una mossa, finché il capo stambecco ha deciso che ero un nemico noioso, ha sbuffato un’ultima volta e si è messo a rosicchiare il muschio tra le rocce. I due cuccioli hanno cominciato a prendersi a cornate, mentre le madri li tenevano d’occhio. Ora il vecchio era l’unico che badava a me: mi si è seduto di fronte, a quattro o cinque metri di distanza, e mi ha fissato masticando, e grattandosi ogni tanto la schiena con le corna. Chissà quanti anni aveva. Chissà se questa è la sua ultima estate o riuscirà a superare gli acciacchi ancora per un altro inverno. Erano le otto di mattina e il mondo tremila metri più in basso sembrava un pianeta alieno: e io ho pensato al mio amico Jose, morto quassù mentre andava a caccia di questi animali, caduto perché nessuno è agile quanto loro. Jose, eri una brava persona e un magnifico alpinista, ma come facevi a sparare agli dei e pensare di farla franca? Ho guardato giù in fondo la casa in cui sono stato bambino, che adesso è stata ristrutturata e dipinta di giallo. Quella dei miei ricordi è perduta per sempre, per fortuna. Prima di andarmene ho promesso al vecchio che, se il prossimo quindici luglio non avrà ancora reso l’anima al diavolo, io sarò qui all’appuntamento, lo giuro.
la settimana scorsa sono stata in montagna. Alle Odle sopra Tiso.
RispondiEliminami è sembrato fosse la prima volta della mia vita, perché erano probabilmente vent'anni che non ci andavo. e ho riscoperto qualcosa, insieme agli animali, al cielo, al silenzio, al verde. qualcosa di più al nocciolo, ma anche intorno, che non so dire.
ho anche pensato che probabilmente fino a quel momento non avevo potuto capire certa letteratura americana.
tu sei il tramite verso quella letteratura, e sei anche capace di dire.
chapeau
ciao clumsy!
RispondiEliminauno dei miei trascurabili progetti di vita è dare alla montagna quel libro che la letteratura non le ha mai dedicato: la sua odissea, il suo moby dick, il suo vecchio e il mare. ci impiegherò i prossimi trent'anni ma conto di farcela prima o poi. intanto grazie per il sostegno!
Ciao Paolo, ti ho visto in un programma televisivo in cui parlavi della tua New York. L'argomento, le immagini e i tuoi inteventi mi hanno attirato e sono rimasta sul canale, interessata. Sono stata due volte in città, due visite al volo, da turista. Ma colgo qualcosa della sua essenza, qualcosa che, per la mia parsonalità, mi fa sentir bene con lei. La passione con cui tu l'hai descritta mi ha fatto venir voglia di leggere il tuo libro. Cercando il libro, ho trovato il tuo blog. Leggero' pian piano l'esperienza che stai vivendo e il tuo libro. Grazie e un caro saluto
RispondiEliminaDaniela
ti sosterrò per trent'anni allora, :P
RispondiEliminache bello, questo capre, e anche i cani del post precedente.
RispondiElimina(nel link, un set di foto montane)
ciao paolo, buona estate :)
mal
Ciao Capitano. Ho letto Una cosa piccola che sta per esplodere. Non mi era mai capitato di leggere dell'incubo di essere figli. E' tutto molto diretto, eppure pervaso di dolcezza.
RispondiEliminaDifficile e facile. Mi dispiace, non so dirlo meglio.
Ti leggerò ancora.
Elena
p.s.
e qui, quando torni?
ciao clumsy, daniela, malvina ed elena.
RispondiEliminagrazie per il sostegno! elena hai detto benissimo e non serve una parola di più.
ho pubblicato un nuovo post. scrivo poco per il blog perché ogni volta è un lungo travaglio, ma preferisco così che qualche nota ogni tanto.
a presto.