In alto ha cominciato a nevicare. In questi giorni le mandrie scendono dagli alpeggi, non per il freddo ma perché l’erba è finita. La montagna non ha più un goccio d’acqua, i prati sono gialli come distese di fieno. Nei letti dei torrenti il ghiaccio vela le rocce umide, si scioglie in macchie scure. Salendo per il sentiero oggi incrocio una lunga fila di mucche lente, cani e bambini intorno a badare che nessuna si attardi, l’allevatore in testa e sua moglie in coda, alla guida di un fuoristrada carico di cose. È la desarpa. Li ricordo tutti, bambini e cani e mucche, all’inizio di giugno, appena arrivati quassù e pazzi di gioia. Ora che la stagione è finita le mucche tornano in stalla, i cani alla catena, e i pastori stagionali dovranno trovarsi un lavoro nei cantieri.
Così faccio un giro intorno agli alpeggi chiusi, dove fino a ieri risuonavano i campanacci. Porte e finestre sbarrate, i letamai vuoti. Le piccole rogge e i canali, che dai torrenti portavano acqua agli abbeveratoi, ora sono chiuse. Vasche da bagno arrugginite e rovesciate restano a languire nei pascoli. Per terra lo sterco secco, i segni delle ruote dei trattori, il paletto a cui stava legato il cane. È una strana sensazione di fuga, come se fosse scoppiata una guerra o un’epidemia. Solo le ortiche sono ancora rigogliose, ma quelle crescono dove non c’è più nessuno, segnano l’abbandono.
Salendo oltre gli ultimi pascoli ripenso alla scena incredibile che ho visto alla fine di agosto, l’allattamento degli stambecchi. Era un branco di venti esemplari su una morena glaciale, con otto cuccioli non ancora svezzati. Chissà cosa provano in questi giorni, assistendo alla loro prima neve? Supero con un salto il torrente che una volta ho dovuto guadare togliendomi calze e scarpe: ora è ridotto a una serie di pozze in cui le trote sono imprigionate, non provano neanche a nascondersi al mio passaggio, potrei raccoglierle con le mani. Poco più su, scollinando a nord, trovo la conca dei laghi completamente imbiancata. La neve copre le tane delle marmotte, il tracciato dei sentieri. L’acqua è increspata dal vento e diventa scura, tetra, con tutto quel bianco intorno; ora non vedrà un raggio di sole per molto tempo. È un’incursione nell’inverno che lascia anche me di un umore cupo, e mi sento sollevato nel tornare giù a balzi, nel calpestare di nuovo l’erba.
Gli alpeggi bassi, verso i duemila metri, resisteranno ancora qualche giorno, forse un mese se il tempo sarà mite. Rambo non ci pensa alla desarpa, non ha un granché a cui tornare e ha deciso di restare qui fino a quando ce la fa. Per questo davanti alla baita ha una catasta di legna alta due metri, che un po’ alla volta sta spaccando a mano. Ascia, cunei e mazza, ma il vecchio larice a quanto pare era cresciuto ritorto, e non vuole saperne di aprirsi in due. Intorno c’è un silenzio insolito. Lupo, anziché fare la guardia al pascolo, è lì che osserva il suo padrone lavorare. Rambo scrolla le spalle quando gliene chiedo il motivo. Tra una mazzata e l’altra mi racconta che stamattina ha aperto la stalla come sempre, ma le mucche hanno messo fuori il muso, hanno annusato l’aria, hanno visto la neve e sono tornate dentro. Cazzi loro, mi dice. Le lascio un giorno a digiuno e poi domani vediamo se non corrono come vitelli. Siccome ormai è mezzogiorno, le mucche sono in castigo e il ceppo di larice non si spacca nemmeno con tre cunei in corpo, Rambo butta la mazza per terra e mi chiede se mi va di andare giù in paese a mangiare. Perché no, dico io. Andiamo in macchina? Lui si gratta la testa, guarda il rottame della Punto lì di fianco e mi confessa che ha finito la benzina. Questi sono i suoi classici casini quotidiani. Prendiamo il trattore, mi fa: ci mettiamo un po’ di più ma ti immagini l’ingresso in scena?
oh, vorrei essere lì.
RispondiEliminadavvero.
Ti prego , ti prego , ti prego, dimmi dove si trova questo posto meraviglioso. Magari i pastori , la prossima estate hanno bisogno di una lavorante in più, o magari qualcuno in paese mi affitta una stanzetta...
RispondiEliminaSto leggendo il tuo "New York è una finestra senza tende". Giuro che della grande mela non me ne è mai fregato niente, anche perché penso che non avrò mai la possibilità di andarci. Leggendo il primo capitolo mi ci sono trovata dentro, come se fossi stata con te sulle colline (colline? ) di Brooklyn.
Per favore non smettere di scrivere. Vero che di questi post ne farai un libro ?
Ornella
Ehi Capitano, nel prossimo post però l'ingresso in scena ce lo devi descrivere assolutamente. Bel post... finale ancor meglio!
RispondiEliminaWil
giorgio: ti ho sempre detto che sei il benvenuto! ma siccome siamo due orsi, forse è meglio che ti lascio le chiavi e vado a farmi un giro...
RispondiEliminaornella: grazie! se vuoi lavorare in alpeggio c'è grande richiesta di braccia su tutte le alpi occidentali, basta che imbocchi una valle a caso e sali fino alla quota dei pascoli. ma ti avverto che è un lavoraccio.
ciao wil, non sono sicuro di sapere chi sei ma ho un sospetto, benvenuto da queste parti.
bello scritto, complimenti.
RispondiEliminaCiao Paolo. Qualche tempo fa, parecchio tempo fa, ci eravamo sentiti per mail. Da un po' ho scoperto il tuo blog e da ieri sera sto leggendo "New York è una finestra senza tende" e mi piace tanto. In autobus, nell'accanimento della lettura stavo pure per sbagliare fermata, colpa tua. Grazie. Allora ti mando una cosa che però di sicuro conosci già ma che se per caso non conosci ti piacerà tanto. Eccola
RispondiEliminahttp://www.pasolini.net/PPP_NY_intervistaFallaci66.htm. Pasolini a New York intervistato dalla Fallaci nel '66. Bellissima intervista. Come è bello il tuo libro d'amore per Gotham. Un abbraccio. Giovanna
oops avevo sbagliato il link, c'avevo aggiunto un punto...ecco rimediato:
RispondiEliminahttp://www.pasolini.net/PPP_NY_intervistaFallaci66.htm
gio
grazie per i post che ci regali.
RispondiEliminae grazie per la frequenza, che è quella giusta; cioè, io in realtà ne vorrei di più e di più... ma invece è quella giusta, perché così uno ha il tempo di leggerseli e rileggerseli e masticarseli e farli propri.
io lo faccio nelle pause/lavoro, tipicamente.
un sos: mi sembra di aver letto, tempo fa, sul blog, una tua classifica di racconti di autori italiani degli ultimi anni.
ho provato a ricercarla qua e là, ma adesso ritrovo solo quella degli americani.
ricordo male?
ciao giovanna, grazie per il link. non conoscevo quell'intervista a PPP ed è incredibile come siano cose che potrebbero essere dette ora, da uno di noi, un trentenne del 2010.
RispondiEliminamarco, ti ringrazio molto per i complimenti e ti rispondo che ho cancellato quella classifica, perché mi ha dato dei problemi con alcune persone. amicizie letterarie, concorrenze, gelosie: è un casino da cui voglio assolutamente stare fuori. ma se vuoi consigli di lettura, puoi sempre chiedermeli in privato.
Ciao Capitano, il tuo diario é bello anche per i commenti. L'intervista di Pasolini é magnifica, e credo che ruberò il suggerimento...
RispondiEliminaElena
Di questi resoconti di vita rupestre mi piace l'aria che tira. Sono pezzi di vita che stanno in piedi da soli. Oltre le mode, oltre le correnti letterarie che vanno e vengono. Anche a me dispiace non trovare qui traccia delle tue letture. Di uno scrittore mi piace sapere quello che scrive, perché la letteratura si nutre anche di libri. Per dire: leggo questi racconti e penso a Hemingway e a Rigoni Stern. Ti sei innamorato prima della montagna e poi di questi scrittori, oppure il contrario? A me è capitato di compiere molte scelte dettate da certe letture amate alla follia. Pietro
RispondiEliminaciao pietro, bella domanda.
RispondiEliminaanch'io penso a hemingway e a rigoni stern (e a henry thoreau, charles d'ambrosio, mauro corona, antonia pozzi, silvio d'arzo, annie proulx) quando me ne vado in giro per la montagna. e anche a me i libri hanno cambiato la vita: sono tornato qui a trent'anni dopo aver letto "into the wild", non so se sarebbe andata così altrimenti. però penso di essermi innamorato prima della montagna: avevo un anno quando l'ho conosciuta, a sette ho calpestato il ghiacciaio, a otto ho messo le mani su una parete di roccia. io qui mi sento come uno che è al suo posto e questa sensazione di casa viene direttamente dall'infanzia, un'epoca precedente ai libri. però, tra una chiacchiera e l'altra, ti ho dato qualche traccia delle mie letture. magari tra un po' ne parlo meglio.
Ciao Paolo,
RispondiEliminati ho già scritto tempo fa, un commento sul tuo post "Nebbia". Non ho più inserito commenti perché ho preferito leggere in silenzio il tuo blog che trovo davvero interessante (sia per l'esperienza in sè, sia per i continui suggerimenti letterari che si possono cogliere).
Ti scrivo, in questo caso, per suggerirti un disco. Forse non ti occorre lissù, ma dietro questo piccolo capolavoro c'è una storia di vita comune che conduce l'artista ad isolarsi in montagna per ritrovare l'ispirazione musciale (dopo averla persa perdendo l'amore e l'amicizia). Insomma, in quelle note c'è l'aria invernale, i sapori della montagna e il rumore della legna (a volte letteralmente). Il suo nome d'arte è Bon Iver (si, "buon inverno"), il disco "For Emma, Forever Ago".
Forse non ti interessa (o forse lo conosci già), ma trovo che sia una buona colonna sonora da tenere con sè in quei luoghi.
Saluti
Caro Capitano ,
RispondiEliminasei ancora lassù?
Se pure non ha nevicato, deve fare un freddo maledetto, di notte e di mattina presto.
Per combatterlo , mi permetto di inviarti un CALDO saluto.
A presto (spero).
Ornella
ciao francesco, è bello che tu abbia pensato a bon iver leggendo questo blog: il suo disco mi fa compagnia da quando sono quassù.
RispondiEliminaornella, effettivamente fa un freddo cane (ma abbiamo tanta legna e delle buone stufe).
Ciao Capitano, sono capitata qui per caso, come succede a tanti, ed avrei intenzione di...restarci. No, non temere, sono amante della solitudine anch'io, volevo solo dirti che da oggi hai una lettrice in più.
RispondiEliminaGiacinta
Pasta e fagioli. E un bicchiere di rosso.
RispondiEliminaBuona cena, Capitano