mercoledì 7 maggio 2008

UNA COSA DIFFICILE COME L'AMORE

Leggo Alice McDermott, Una cosa difficile come l’amore

Long Island, primi anni ’60. Un sobborgo di villette a schiera e famiglie tutte uguali. Una sera d’estate, una Ford dai finestrini scuri si ferma davanti a una delle case: dentro la macchina, scortato dalla sua banda, c’è un ragazzo di nome Rick. Dentro la casa dovrebbe esserci la sua fidanzata, Sheryl, e Rick è venuto per lei. Da giorni la cerca al telefono senza successo. La madre di Sheryl gli ha ordinato di non chiamare più. Due sono le cose che Rick non sa, anche se ormai le teme: primo, Sheryl è incinta; secondo, è stata spedita da una zia in Ohio per portare a termine la gravidanza. Nascosta dove non la conosce nessuno. Seppellita per sempre insieme al suo segreto.

Quella sera che venne a cercarla si fermò sul praticello davanti a casa sua, in ginocchio e con i pugni piantati nelle cosce, e gridò il suo nome con una tale passione che perfino gli amici che lo circondavano, venuti a sostenerlo, a trascinarla fuori da quella casa, ad ammazzare la famiglia di lei se necessario, lasciarono cadere giù le catene. Perfino gli uomini del vicinato, in bermuda o pantaloni sportivi, magliette bianche e pantaloncini grigi, con mazze da baseball o badili protesi in avanti come fucili, perfino loro interruppero l’affannosa corsa a proteggerla: i buoni e i cattivi, i ragazzi in giubbotto nero e i padri nei leggeri abiti estivi, inchiodati per un unico attimo prima dell’inizio della battaglia dal suono tremendo e lancinante di quel grido di dolore.

Che libro ragazzi. Quella sera si scatena la rissa che diverrà leggenda nel quartiere: i padri, uomini di mezz’età e passioni assopite, dediti ormai al giardinaggio e al barbecue, si coalizzano per difendere la famiglia di Sheryl dall’attacco dei barbari. Sono pugni, calci, cinghiate, colpi di mazza e catena, ed è una battaglia senza vincitori né vinti, perché alla fine arriva la polizia e gli invasori si dileguano. Eppure, dal giorno dopo, tra i prati ben curati e i vialetti di ghiaia nasce un sentimento che prima non era mai esistito: vicini di casa sconosciuti, benestanti dai modi riservati e cortesi, adesso si sentono una tribù. Si salutano tra loro con complicità virile. Si fermano a chiacchierare dopo cena. Si mostrano a vicenda graffi e lividi, come reduci di una battaglia gloriosa.

Il romanzo è scritto in prima persona da una ragazzina del quartiere. È una voce narrante particolare, spettatrice degli eventi, curiosa di tutto quello che si nasconde sotto le apparenze, affascinata e terrorizzata dal segreto più grande della vita adulta, quella cosa difficile che è l’amore. E così, raccogliendo gli indizi e riempiendo i vuoti con l’immaginazione, ricostruisce la storia tra Rick e Sheryl: quello che è successo prima e dopo, le conseguenze che avrà sulla vita di tutti quanti. Il romanzo gira intorno a quell’unico evento, la battaglia tra gli uomini e i ragazzi. E, girandoci intorno, scopre che il padre di Rick è un medico fallito, la madre una depressa cronica, e lui non è mai stato amato da nessuno. Il padre di Sheryl, morto d’infarto l’anno prima, ha lasciato una vedova dura e scontrosa, e una figlia che si è fatta un’idea tutta sua sull’amore. Che logica ci sarebbe ad amare della gente, se poi quelli muoiono come se tu non fossi mai esistita? Non sarebbe idiota continuare ad amare uno che è morto, se sapessi che non lo rivedrai mai più? Che cos’è che ameresti allora, l’aria? Ecco perché non importerebbe se Rick andasse ad ammazzarsi o qualcosa del genere. Sarebbe come con papà. Mi manca, ma so che lo rivedrò perché penso sempre a lui. Non si può smettere di voler bene a qualcuno solo perché è morto, giusto?

Ecco qual è il punto. Si può anche leggere questo libro - uscito nel 1987 e vincitore di molti premi, pubblicato solo adesso in Italia per qualche mistero editoriale e per merito di Terre di Mezzo - come una satira dell’America borghese, ma secondo me è un errore. È il tipico errore europeo nei confronti della letteratura americana. Ad Alice McDermott, per come la vedo io, non interessa tanto raccontare la borghesia ipocrita, l’illusione della sicurezza messa in crisi dal conflitto sociale, né costruire un’opera pop intorno ai vecchi simboli del sogno americano - la cassetta delle lettere, l’altalena in giardino, la macchina parcheggiata nel vialetto: o forse le interessa ma solo come cornice, perché questo libro è un libro sull’amore. La storia tra Rick e Sheryl, raccontata da una ragazzina che si affaccia alla vita adulta, è il sogno irrealizzabile dell’amore assoluto: l’amore che salva la vita, l'unica magia capace di spezzare la maledizione della solitudine umana.

Dopo quella volta, dopo le macchine e l’improvviso carosello sul prato di Sheryl, i ragazzi con le catene e lo scontro e il suono raggelante di quel grido d’amore, dopo di questo le scenette quotidiane non ci soddisfecero più, non c’era litigio smorzato, pranzo fuori per l’anniversario, dolce bimbetto ritardato, che potesse più farci credere di vivere una vita vibrante, farci credere di saperne qualcosa dell’amore.

Che libro. Nel mio cuore e nella mia biblioteca ha preso subito posto tra Richard Yates, John Cheever e Rick Moody. Era da tanto che non mi sentivo più innamorato.

Alice McDermott, Una cosa difficile come l’amore

(Traduzione di Stefania Bertola, Terre di Mezzo)