domenica 4 marzo 2012

CLEVELAND, OHIO

  A Cleveland c'è una sosta, e la ragazza ne approfitta per fumare. Davanti alle vetrate della caffetteria misura il proprio tempo su quello dell’autista, che si è seduto al bancone e ha ordinato una bibita e un panino. Da fuori, la stazione degli autobus le ricorda certe fabbriche della sua città, edifici degli anni Venti: gli angoli tondi, una vela di cemento ornamentale, uno spigolo incombente come la prua di un transatlantico. L’orologio sulla facciata segna le undici di sera e per strada l'asfalto sembra vinile. Nel breve tratto di marciapiede riparato dalla pioggia una donna di colore ne abbraccia un’altra più anziana, un facchino passa spingendo un carrello carico di valigie.
  Poi la ragazza lo vede. Seduto nella caffetteria c’è un ragazzo di una trentina d’anni: camicia grigia, cravatta nera, radi capelli scompigliati, la faccia di uno che dovrebbe dormire un paio d’ore in più per notte. Ha una custodia rigida sul tavolo. Un clarinetto, pensa la ragazza. Tiene un braccio sullo schienale della sedia e con l’altra mano picchietta un ritmo interiore sulla tazza che ha di fronte. Eccoti. Sei tu, vero? Al dito del ragazzo c’è un anello. Se la ragazza si concentra riesce quasi a sentire il rumore che fa l’argento sulla ceramica, un codice Morse tra lui e lei, il loro tintinnio segreto.
  Ora il ragazzo alza gli occhi. Si aggiusta i capelli specchiandosi nella vetrata buia. Senza saperlo incrocia lo sguardo della ragazza - gli occhi di lui specchiandosi, gli occhi di lei guardando attraverso il vetro, come negli interrogatori dei film di polizia. Dunque ora è finito il tempo del corteggiamento, ci siamo solo io e te e questo tavolino. Com’è andato il tuo concerto? Hai ricevuto un bell’applauso, o è stata una di quelle serate storte? Se lui è un clarinettista dovrebbe avere una specie di callo sul labbro inferiore, anzi appena dentro il labbro, e quello sarebbe il punto in cui dargli un bacio di buona fortuna, quando esce per andare a suonare. Tornerebbe a quest’ora, un po’ sbronzo magari, e si farebbe una doccia prima di entrare nel letto, per levarsi di dosso il fumo dei locali notturni e chissà quali altri odori. Lei reciterebbe scene di gelosia: l’attrice e il musicista - qui sarebbe già passato un anno - orari sballati, notti in bianco, tutt’e due sempre senza un soldo, bottiglie vuote che rotolano sul pavimento e un paio di scarpe eleganti a cui è saltato un tacco durante un litigio.
  Poi una cameriera passa tra i tavoli. Posa davanti al musicista un piatto con uova, bacon e patatine fritte. Lui la guarda e sorride. Lei ha un anello molto simile al suo. Gli riempie la tazza di caffè e si allontana, ma dopo pochi passi si volta per sussurrare tre parole con le labbra. Le solite vecchie tre parole. E così, pensa la ragazza, è stato bello finché è durato. Ormai siamo nella fase dei sospetti e delle confessioni: lei chi è? Si può sapere da quanto va avanti? Ci vuole del coraggio, e una bella dose di autolesionismo, a mettersi a parlare adesso invece di andarsene e basta, però a noi piacciono i fazzoletti bianchi e le banchine dei treni, e decidiamo di assaporarlo questo languore. Ce ne stiamo seduti in cucina e dividiamo il nostro ultimo spuntino di mezzanotte. Senape o ketchup? Posso rubarti una patatina prima di lasciarti? La tua tazza è sbeccata sull’orlo, ti ricordi del giorno in cui è caduta? Tieniti tutte le cose sbeccate, scheggiate, ammaccate, le cose che abbiamo comprate intatte e le abbiamo rovinate insieme - usandole, lanciandocele addosso, lasciandole cadere in quei giorni in cui ti cade tutto - tienile tu, sono sicura che avrai una vita bellissima, te la meriti, addio.
  Al banco l’autista controlla l’orologio e lascia due banconote sotto il bicchiere vuoto. Si alza dallo sgabello. La ragazza fa una boccata più lunga dalla sua sigaretta e vede: segatura umida sul pavimento di marmo, un ombrello scrollato prima di entrare, la gomma di un taxi che provoca un’onda di piena in una pozzanghera, un tovagliolo di carta appallottolato e scalciato da una scarpa di vernice. Era questo che avevi in serbo per me, Cleveland, Ohio? Un amore da ubriachi al posto del tuo famoso lago? Lasciami un po’ d’umido sui vestiti, io ricambio con questo mozzicone: tu calpestalo con il prossimo milione di piedi. Poi c’è una scintilla rossa nella notte, l'ultima chiamata per l'autobus diretto a Chicago, una cameriera che rifà il caffè, una città americana con una ragazza in meno.