giovedì 24 luglio 2008

WALTER TEVIS

Mentre si addestra nella nobile arte della Pesca a Mosca, cullato dal ritmo in quattro tempi e dal sogno di una trota iridea, il vecchio Capitano medita sui suoi libri preferiti. I suoi cari, vecchi scrittori americani. I suoi scrittori pescatori. Certe volte si chiede come mai la montagna in letteratura sia cantata così poco: Moby Dick, La linea d’ombra, Il vecchio e il mare - perché non c’è niente del genere sulla montagna? I libri di montagna sono libri di guerra o di alpinismo. Niente a che vedere con quello che sento io adesso. O forse è colpa della geografia americana: chissà che cosa avrebbe scritto il vecchio London, se fosse nato e cresciuto sulle sponde di questo mio torrente.

E mentre pesco e medito, e mentre la scrittura prende forma in una mente dotata di corpo, e in un corpo per metà a mollo nell’acqua ghiacciata, succede una coincidenza. Ieri stavo leggendo Lo spaccone, il romanzo da cui poi è stato tratto quel grande film con Paul Newman, e oggi scopro che il mio amico Guillermo ha appena letto l’altro capolavoro di Walter Tevis, La regina degli scacchi. I due libri sono gemelli. Il primo è la storia di Eddie Felson e del suo talento nel gioco del biliardo, il secondo è la storia di Beth Harmon e del suo talento nel gioco degli scacchi. Tutt’e due, Eddie e Beth, sono capaci di vivere soltanto all’interno di quel quadrilatero. Tutt’e due hanno un problema con il genere umano e con l’alcol. Per tutt’e due il talento si rivela una maledizione: perché ne sono divorati, perché in nome del talento rinunciano alla propria esistenza. Donne, uomini, lavori e luoghi, passioni e rivoluzioni: tutto quello che ti può capitare nella vita. Niente. Per Eddie e Beth ci sono solo il tavolo da biliardo e la scacchiera. La felicità e il dolore esistono solo lì dentro. Poi ci sono lo scotch e il bourbon, e la birra per quando si ha la gola secca la mattina. Giusto così. Non ti viene data un’ossessione senza lo strumento adatto a spegnerla, almeno ogni tanto.

Walter Tevis, scopro dalla sua biografia, ha pubblicato due romanzi di successo e poi è stato per 17 anni senza scrivere niente. Ecco uno che parla di alcol perché ne sa qualcosa. Poi gli hanno detto che aveva un tumore, e allora ha lasciato il suo lavoro e la sua città, si è chiuso in una stanza di New York con la sua macchina da scrivere, e prima di morire ha pubblicato altri quattro libri. Mi sa che non era contento lo stesso. In uno di questi, Il colore dei soldi, il vecchio Eddie Felson ormai stanco e acciaccato riceve il suo epitaffio: “Te ne sei stato seduto sul tuo talento per vent’anni”. Come diceva Marcellus Wallace era uno che poteva farcela, ma non ce l’ha mai fatta. Che cosa c’entra la Pesca a Mosca con questo? Tutto e niente: pescando e meditando si arriva ai pensieri più strani. La vita non è un’opera d’arte. Se la attraversi per farne il tuo capolavoro, sappi che può andare a finire molto male. E adesso puoi tornare a cercare il lancio perfetto.