sabato 26 novembre 2011

BEFORE I DIE I WANT TO

Vicino al vecchio municipio di Brooklyn c’è una casa abbandonata, che un artista di New Orleans ha ricoperto di pannelli neri. Sono fatti di un materiale simile alla lavagna, e scatole di gessetti colorati sono a disposizione sul marciapiede. Su ogni pannello c’è stampata la frase: prima di morire vorrei. Così chi passa può prendere un gessetto e scrivere il suo desiderio più importante, o almeno quello che il pensiero della morte rende tale. Immagino che il risultato sarebbe diverso se la premessa fosse: prima di stasera vorrei. Oppure: entro dieci anni vorrei. Voglio dire che anche i desideri cambiano a seconda della prospettiva. E cose come ottenere un buon lavoro, comprare una casa, o conquistare quei traguardi che uno tende a desiderare pensando di avere ancora tempo, non valgono più molto se immagini che subito dopo sia finita.

Così ho passato più di un’ora lì davanti a leggere e classificare i desideri dei miei concittadini. Il quartiere del vecchio municipio è un posto povero, a maggioranza nera e latino-americana. E magari alcuni desideri non dipendono dai soldi che uno ha e dalla vita che gli è toccato fare, ma altri sì. In ogni caso al primo posto c’era un desiderio che non c’entra nulla con le classi sociali: sposarmi e fare un figlio. A volte solo il matrimonio, altre volte solo il figlio. Quest’ultimo mi sembrava un desiderio molto femminile, ma potrebbe anche essere un mio pregiudizio di genere. Una persona aveva scritto: avere una bella famiglia. Un’altra: poter vivere abbastanza da diventare nonna. Un’altra ancora: rivedere i miei genitori. In questo caso, sono quasi sicuro che si trattasse di un emigrante.
Al secondo posto c’erano i desideri legati ai luoghi. Visitare il Sud Africa, diceva uno. Vedere l’India. Chissà perché proprio l’India e il Sud Africa, mi sono chiesto, forse sono le terre d’origine di quelle persone? Molti avevano scritto girare il mondo. Ho trovato anche un vivere vicino al mare, però i miei preferiti erano questi due: andarmene da New York e tornare a casa. Forse perché alcuni desideri spalancano porte sulle vite degli altri, ti spingono a immaginare esistenze e trame. E il bisogno di scappare o ritornare è sempre il motore di grandi storie.
Al terzo posto c’era vivere per Gesù. Però mi sa che era sempre la stessa persona ad averlo scritto più volte, usando gessetti di colori diversi. Con tutto il rispetto per i desideri altrui, questo sapeva molto di propaganda evangelica.
Al quarto posto c’erano i desideri rivoluzionari: cambiare il mondo, o riportare l’amore sulla terra. Uno aveva scritto: legalizzare la marijuana. Un altro: bruciare Wall Street. Quello di bruciare Wall Street è un desiderio diffuso in questi giorni a New York, lo trovi spesso scritto sui muri, sui manifesti pubblicitari. Si respira più rabbia che amore camminando per le strade.
Soltanto uno aveva scritto: vincere la lotteria. E soltanto uno: fuck, fuck, fuck. Per i miei soliti pregiudizi di genere, questo mi pareva un desiderio tipicamente maschile. E ho pensato che non gli sarebbe stato difficile realizzarlo, con tutte quelle ragazze ansiose di riprodursi. Bastava scambiarsi i numeri di telefono.

Il giorno dopo ha piovuto, e la pioggia ha cancellato tutti i desideri. Per un po’ di tempo sulle lavagne è rimasta una poltiglia di gesso, di quel colore indefinibile che ottieni quando ne mescoli troppi insieme, ma con uno sbuffo di giallo da una parte, una traccia di azzurro dall’altra, echi di desideri brooklyniani, il mormorio di una folla in cui solo ogni tanto distingui una voce più acuta o un grido. Poi qualcuno, non so se l’artista di New Orleans o la nettezza urbana, ci ha passato uno straccio sopra, e le lavagne sono tornate al nero, a quella pace dei sensi che appartiene così poco alla natura dell’uomo. Per qualche motivo una vita senza desideri ci sembrerebbe intollerabile, e infatti la gente ha subito ricominciato a chiedere, a sperare, a pregare, e in poche ore le lavagne si sono riempite di parole. I desideri nuovi erano incredibilmente simili a quelli vecchi.

(però tra quelli nuovi c’era pure: scrivere un bel libro)