martedì 21 luglio 2020

PER PAOLO FINZI

Paolo Finzi ci ha lasciati, l'altro ieri. Con lui Milano perde un testimone storico, un figlio appassionato e gentile, un vulcanico agitatore di periferia, e il movimento anarchico italiano perde uno dei suoi pilastri, di cui in qualche modo dovremo raccogliere l'eredità. Io Paolo l'ho conosciuto una decina d'anni fa alla Scighera, il circolo libertario in cui veniva spesso per parlare d'anarchia, per salutare gli amici e per tornare alla Bovisa a cui si era affezionato fin dai tempi in cui frequentava un altro circolo, il Ponte della Ghisolfa di piazzale Lugano. Sì, proprio quel leggendario buco di rivoluzionari.
Paolo veniva preceduto dalla sua fama, era stato il più giovane tra i fermati per Piazza Fontana (nato nel '51, nel '69 era appena maggiorenne), amico e compagno di Pinelli e per noi che con questi miti c'eravamo cresciuti era come incontrare un pezzo di storia. La storia veniva da ancora più lontano perché Paolo era figlio di due ebrei antifascisti e partigiani, Ulisse Finzi e Matilde Bassani, lui mantovano e lei ferrarese, una madre insegnante e pedagogista che si era fatta valere durante la resistenza romana. Si erano trasferiti a Milano dopo la guerra e in quegli anni di boom economico e lotte operaie Paolo aveva trovato la sua via, anzi la sua Idea nel pensiero anarchico, entrando nel gruppo Bandiera Nera di Giuseppe Pinelli. Una scelta minoritaria e anticonformista, in anni in cui la lotta politica era rigidamente inquadrata. Dopo Piazza Fontana c'era da riorganizzare da zero il piccolo movimento anarchico milanese, e nel '71 Paolo fondò con alcuni compagni “A rivista anarchica”, in cui poi lavorò per quarantanove anni, proprio fino all'altro ieri. In mezzo secolo di storia, “A” è diventata senz'altro la voce più importante dell'anarchismo italiano. Pedagogia, antiautoritarismo e antimilitarismo, diritti delle minoranze (donne, bambini, detenuti, stranieri), da sempre sono i suoi cavalli di battaglia e sono anche i temi di cui Paolo ha scritto per tanti anni, come nei suoi studi sulla resistenza anarchica e lo sterminio nazista di rom e sinti. Fondò o sostenne la fondazione di tante altre realtà come il Centro Studi Libertari/Archivio Giuseppe Pinelli, la casa editrice Eleuthera.
La vicinanza con il popolo rom fu all'origine di un'amicizia fondamentale nella sua vita, quella con Fabrizio De André. Paolo raccontava che una volta, chiudendo i concerti, De André domandava se tra il pubblico ci fossero anarchici del posto, perché gli sarebbe piaciuto salutarli. Fu così che una sera Paolo stesso bussò alla porta del camerino, non mancando di portare la rivista di cui De André sarebbe diventato un fedele sostenitore. Furono Paolo e la compagna Aurora, anni dopo, ad aiutare Fabrizio nelle ricerche che l'avrebbero portato a scrivere Khorakhané – A forza di essere vento. Paolo trovò in Fabrizio una grande fonte d'ispirazione, forse il modello dell'anarchico che aveva in mente: colto, libero, duro e gentile, ironico e romantico al tempo stesso. Puro.
Era così anche lui. Me lo ricordo ridere spesso, parlare a voce troppo alta, raccontare mille storie e perdersi a metà: era un uomo rumoroso e ingombrante, riempiva i posti dove entrava, eppure si intuivano bene i suoi momenti bui, forse anche le sue grandi delusioni. Era molto affettuoso, anche con me. Mi dava carezze, mi abbracciava. Ho avuto l'onore di scrivere per “A” mentre Paolo c'era ancora, perché lui me l'aveva chiesto e sono stato io a ringraziarlo quella volta. Me lo ricordo ai pranzi del Primo Maggio alla Fai di viale Monza, Aurora che serviva ai tavoli e Paolo che faceva da anfitrione in quell'altro buco di sovversivi. Lui non avrebbe mai detto “padrone di casa”. Padrone era una di quelle due o tre parole che non avrebbe mai usato. È stato un nostro maestro di libertà e così sempre ce lo ricorderemo.