Sono passati 30 anni dall'uscita della legge 180, che nel 1978 impose la chiusura dei manicomi in Italia, e io festeggio la legge Basaglia con la lettura di due libri: Ken Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo, e Susanna Kaysen, La ragazza interrotta. Del primo c’è poco da dire. Grande romanzo. Anche dal secondo è stato tratto un film, Ragazze interrotte di James Mangold, con Winona Ryder e Angelina Jolie, del 1999. È il diario di Susanna Kaysen, diciottenne dell’alta borghesia di Boston che tra il ’67 e il ’69 passò due anni in un manicomio di lusso, il McLean Hospital, famoso per aver ospitato gente come Robert Lowell e Sylvia Plath. Per l’estrazione sociale delle pazienti, e la retta che i loro genitori pagano, qui non ci sono camicie di forza né lobotomie, ma solo quintali di psicofarmaci e qualche sana seduta di elettroshock. Le ragazze che Susanna incontra in clinica sono depresse, bulimiche, paranoiche, bugiarde patologiche, affette da sindrome borderline. Sono dipendenti da sonniferi e lassativi. Dopo due anni saranno le sue migliori amiche.
Il titolo è tratto dal quadro preferito di Susanna: Vermeer, Ragazza interrotta mentre suona. Vedendolo al Frick Museum, a diciassette anni, le era sembrato che la ragazza volesse attirare la sua attenzione, metterla in guardia da un pericolo. Era la malattia, o qualunque cosa fosse, che stava per arrivare.
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Avevo dei problemi con i motivi geometrici. Tappeti orientali, pavimenti piastrellati, tende stampate, cose di questo genere. Con i supermercati era particolarmente dura, per via dei lunghi e ipnotici corridoi a scacchi. Quando guardavo queste cose, al loro interno ne vedevo altre. La realtà si stava facendo troppo densa.
Vedevano tutti quella roba e facevano finta di nulla? La pazzia era solo questione di smettere di fingere? Cos’è che non andava nelle persone che non vedevano certe cose? Erano cieche, per caso?
Negare era la mia ambizione. Il mondo, denso o vuoto che fosse, provocava in me soltanto negazioni. Quando avrei dovuto stare sveglia dormivo, quando avrei dovuto parlare tacevo, quando mi offrivano qualcosa di piacevole lo rifiutavo. Tutte le mie armi - fame, sete, solitudine, noia e paura - erano puntate sul mio nemico: il mondo. Naturalmente al mondo non importava niente di loro, e loro infastidivano me, ma dalle mie sofferenze traevo una macabra soddisfazione. Dimostravano la mia esistenza. Sembrava che tutta la mia integrità consistesse nel dire no.
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Susanna Kaysen, La ragazza interrotta, Corbaccio
(Traduzione collettiva della Scuola Europea di Traduzione Letteraria)