Un prete giovane e di buona famiglia, destinato alla carriera vaticana, viene mandato in punizione in una piccola parrocchia di campagna. È un paese spopolato dell’Appennino, in cui l’inverno del protagonista trascorre tra le confessioni delle fedeli più anziane e bigotte, l’assistenza a un ragazzo con problemi mentali, il rifornimento di chierichetti al vecchio parroco dai dubbi gusti sessuali. Il giovane prete è arrogante, disgustato da una vita di provincia impregnata di mediocrità e televisione. Eppure un giorno, accompagnando il ragazzo disabile agli allenamenti, il suo occhio acuminato cade sull’attaccante della squadra locale. Figlio di contadini, calciatore senza talento, l’uomo ha due qualità che lo attraggono: sembra essere un infallibile rigorista, ed è del tutto indifferente al proprio dono. Tira serie di rigori per niente eleganti, calciando rasoterra e di punta, eppure non sbaglia mai. Non manifesta tensione prima di tirare e non festeggia dopo che ha segnato. Il rigore è il suo gesto perfetto, la sua opera d’arte. Per il prete, l’esistenza di un uomo del genere diventa un’ossessione. È l’incontro con l’opposto da sé: l’opposto dell’intelligenza, del desiderio, della rabbiosa imperfezione della natura umana. È l’insopportabile manifestazione della grazia davanti a qualcuno che ha smesso di credere in Dio, o se n’è dimenticato. Come Salieri con Mozart nel film di Milos Forman, il protagonista comincia ad assistere in segreto a tutti gli allenamenti, a tutte le partite. Un rigore dopo l’altro. "Era come vedere un calcio di rigore per la prima volta”, dice. “Un calcio di rigore originario, anteriore all’invenzione dei calci di rigore. Mi dava qualcosa di cui avevo un bisogno forsennato, qualcosa che da troppo tempo avevo deriso dentro di me”. Alla fine, proprio come Salieri, il prete elabora il suo diabolico piano. Distruggere la perfezione. Sedurre il rigorista, ventilare l’ingaggio in una grande squadra grazie alle proprie amicizie influenti, vincere la sua totale indifferenza alla fama e ai soldi, trascinandolo giù a consumarsi nell’ambizione. Corrompere l’innocenza, inquinare la purezza. Dichiarare guerra a Dio e all’assurda forma in cui ha deciso di manifestarsi - un infallibile e inutilissimo rigorista di provincia.
L’aggettivo più usato per La persecuzione del rigorista, nelle recensioni apparse sulla stampa e in rete, è disturbante, come disturba uno specchio imprevisto, o qualcuno che ci guardava quando non pensavamo di essere osservati, e come sempre dovrebbe disturbare la letteratura. Accantonato il problema della fede, il prete di Ricci assolve in un modo tutto suo al compito di pastore d’anime: conosce i segreti degli uomini, li manovra usando le loro debolezze, li lusinga e li minaccia per condurli alla propria volontà, li domina come un gregge. Sembra un gioco, e invece è la pratica del potere: materia torbida che riempie l’involucro dei rapporti umani.