Per il secondo tipo di scrittore di racconti quella libertà è così inebriante, e il suo valore così puro in sé, che la storia non ha più molta importanza. Anzi, potrebbe avere una certa importanza il fatto che la storia non ci sia. Mi vengono in mente alcuni racconti di Donald Barthelme, o di Lydia Davis, o di David Foster Wallace, che sembrano scritti per il puro piacere di usare le parole, metterle una in fila all’altra e costruire forme mai viste prima; scritti con la stessa felicità selvaggia e senza scopo che si prova correndo nell’erba alta o tuffandosi in mare; scritti perché la scrittura non sempre è un lento e macchinoso processo di costruzione, ma alcune rare volte è stare in macchina sotto la pioggia e cantare da soli (a conferma della sua natura inafferrabile, non riesco a descrivere questo sentimento senza descrivere altro). Anche questo si può fare, con i racconti.
Tutto questo mi è venuto in mente leggendo il nuovo libro di Ali Smith, La prima persona. Chi ha amato le due precedenti - Free Love (Feltrinelli 2007) e Altre storie (e altre storie) (minimum fax 2005) - forse sa cosa intendo dire. Chi non l’ha fatto, può entrare in libreria e leggere il primo racconto di questa raccolta, e poi vedere che cosa gli succede.
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VERO RACCONTO BREVE
C’erano due uomini nel bar, al tavolo accanto al mio. Uno era giovane, l’altro più anziano. Potevano essere padre e figlio, ma tra loro non c’era quella consolidata diffidenza, quella rabbia confusa che quasi sempre c’è tra padri e figli. Forse erano il risultato di un divorzio, il padre che ci teneva a fare il padre ora che il figlio era adulto, il figlio che ci teneva a essere un uomo adesso che si ritrovava di fronte a suo padre, se non altro per il tempo di una tazza di caffè. No. Più probabilmente l’uomo anziano era uno di quegli amici di famiglia che nei fine settimana estivi fanno le veci del padre, prendendosi cura del figlio piccolo di una coppia divorziata, un uomo consapevole delle sue responsabilità, e adesso il ragazzo era cresciuto, l’uomo era invecchiato, e fra loro c’era questa tacita comprensione eccetera.
Smisi di inventarmeli. Non mi sembrava giusto. E cominciai ad ascoltare cosa si dicevano. Parlavano di letteratura, un argomento che, guarda caso, trovo molto interessante, al contrario di tanta altra gente. L’uomo più giovane parlava della differenza tra il romanzo e il racconto breve. Il romanzo, diceva, è una vecchia puttana cadente.
Una vecchia puttana cadente!, ripeté l’uomo più anziano tutto compiaciuto.
Utile, spazioso, caldo e familiare, secondo quello più giovane, ma in realtà un po’ troppo usato, un po’ troppo sciatto e sfasciato, in realtà.
Sciatto e sfasciato!, ripeté l’uomo più anziano ridendo.
Mentre il racconto, al paragone, era un’agile dea, una ninfa dal corpo snello. E siccome pochissimi erano riusciti a raggiungere alti liveli in quel campo, il racconto era ancora in una forma smagliante.
Una forma smagliante! A queste parole l’uomo più anziano si allargò in un sorriso da un orecchio all’altro. E così, tanto per fare qualcosa, cominciai a pensare quanti tra i libri presenti a casa mia si potevano definire scopabili, e quanto sarebbero stati bravi a letto. Feci un sospiro, tirai fuori il cellulare e chiamai un’amica con la quale di solito andavo in quel bar il venerdì mattina.
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Ali Smith, La prima persona
(Traduzione di Federica Aceto, Feltrinelli 2010)