lunedì 26 aprile 2010
UN LABORATORIO DI SCRITTURA (continua)
Catturare il senso di un’esistenza osservandola con una sola lente: il rapporto con una persona, la pratica di un mestiere, il legame con una città o una casa?
Un oggetto posseduto da anni, un’azione che si ripete e diventa un rito, il continuo ritorno a un luogo o a un libro. Per qualcuno di noi, non potrebbero essere la migliore biografia possibile?
È quello che proveremo a scoprire nella prossima sessione del laboratorio di scrittura, che comincia lunedì prossimo alla Scighera. Con me lo conduce Giorgio Fontana. Questa volta avremo un testo ispiratore, le Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia. Partiremo da lì, e poi che ognuno trovi la sua strada. Il gruppo ormai è solido ma c’è sempre posto per i nuovi ingressi: se volete sapere quello che facciamo, ecco i migliori racconti degli ultimi mesi.
Buona scrittura.
martedì 13 aprile 2010
RITORNO A GOTHAM
il nostro nobile Hudson che scorre lento.
“È il nostro nobile Hudson che scorre lento”,
disse, “tra le sue sponde verdi”.
Sta’ calmo, cuore! Nessuno chiede
il tuo sostegno appassionato a questa gloria,
è il nostro nobile Hudson che scorre lento
tra le sue sponde verdi.
“Autista, ha forse un pari in Europa o in Oriente?”
“No, no!”, disse lui. Casa! Casa!
Sta’ calmo, cuore! È il nostro nobile Hudson
e non ha pari in Europa o in Oriente.
È il nostro nobile Hudson che scorre lento
tra le sue sponde verdi
e non ha pari in Europa o in Oriente.
Sta’ calmo, cuore! Casa! Casa!
(Paul Goodman)
sabato 10 aprile 2010
HOLDEN, LOLITA, ZIVAGO E GLI ALTRI
Negli ultimi due giorni sono stato in giro. Su treni ad alta velocità e sferraglianti carri bestiame, dentro divani letto profumati di whisky e ville di campagna infestate dai fantasmi, mi ha fatto compagnia un libricino. Si intitola Holden, Lolita, Zivago e gli altri - piccola enciclopedia dei personaggi letterari (1946-1999). L’autore è Fabio Stassi: scrittore, bibliotecario e pendolare. Io ho avuto la fortuna di incontrarlo nel suo elemento, non corridoi fitti di scaffali ma la banchina di una stazione. Mi ha raccontato di avere accumulato appunti per quindici anni, per mettere insieme questo indice di duecento nomi. Se lo aprite a caso potreste trovarci il ritratto di Sarah, la ragazza zoppa con cui Fast Eddie Felson finisce a letto, dopo l’epica sconfitta a biliardo con Minnesota Fats: Quando hai perso tutto, ma solo quando hai perso veramente tutto, ti può capitare di incontrarmi, di sponda, in piena notte, nel bar di una stazione di autobus, tra donne che non partono, e non riescono a dormire, e hanno voglia di bere. Io sono lì perché quello è l’unico bar aperto prima delle sei. Oppure quello di Mardou Fox, la perla nera di tutte le stanze ammobiliate di Frisco: Chiamatemi Mardou cuorefragile. Mardou piedevagabondo. Mardou che si mangia le unghie mentre ascolta Gerry Mulligan. Mardou ciglia nere e sciarpa rossa. Mardou sinuosa, intima, segreta. Mardou nevrotica. Oppure quello di Holly Golightly, la seduttrice eternamente in transito: Dovevo avere l’aria di chi si mastica le punte dei capelli bagnati e piange nel sonno e non sa conservare nulla né riconoscere cosa sia suo. Non volevo possedere niente. Cercavo solo un posto come Tiffany, l’unico luogo che mi facesse passare le paturnie, e l’ansia, e la paura, e questo senso d’essere effimeri. Soltanto chi si è innamorato di donne che non esistono, fatte d’inchiostro, carta ingiallita, parole di uomini morti, può avere scritto un libro come questo. Soltanto chi ha vissuto le sue più grandi avventure sul sedile lacero di un treno locale. Quella nostalgia bruciante che si prova chiudendo un libro, Fabio Stassi la conosce bene. Non a caso la sua piccola enciclopedia comincia con un verso dell’Antologia di Spoon River. Dire addio a personaggi che abbiamo amato è come veder partire gli amici, dal molo di un traghetto o tra le lapidi di un cimitero: in queste pagine tornano tutti alla vita.
Fabio Stassi, Holden, Lolita, Zivago e gli altri (minimum fax 2010)
sabato 3 aprile 2010
FAT CITY
Ho appena finito di leggere Fat City, il romanzo di Leonard Gardner che ispirò il film di John Huston del 1972. Questa volta sono indeciso: sia il libro che il film sono capolavori. È la storia di due pugili, Ernie Munger e Billy Tully, e di una cittadina della California settentrionale nei tardi anni ’50. Stockton, dalle parti di Monterey. Quella regione è celebre per i campi di lattuga, cipolle, pomodori, ed è popolata in gran parte da messicani che campano facendo i raccoglitori a giornata. Anche Ernie e Billy, dopo le loro frequenti sconfitte e ancora più frequenti sbronze, si presentano all’alba nel parcheggio degli autobus per essere portati nei campi. Billy ha ventinove anni ma sembra già vecchio: è separato dalla moglie, beve troppo, convive con un’alcolizzata che ha portato via a un altro uomo, ha lasciato la boxe dopo un incontro perso che secondo lui era truccato. Una sera fa a pugni in un bar e si convince che, con un po’ di allenamento, potrebbe tornare a combattere. Il giorno dopo va in palestra e le prende da Ernie: diciannove anni e una ragazza incinta, una buona promessa della boxe locale il cui futuro si prospetta del tutto simile al passato di Billy. Le loro vite parallele potrebbero essere due momenti della stessa, a una decina d’anni di distanza, ed è una vita che si dipana tra bar, campi di cipolle, palestre polverose, pensioni da quattro soldi, umanità alla deriva.
Forse la scena più bella di tutto il libro è questa: quando Billy Tully torna a combattere, il suo procuratore non trova di meglio che organizzargli un incontro con Arcadio Lucero, pugile messicano che qualche anno prima era famoso come picchiatore. L’avversario è temibile, però il tempo è passato anche per lui. È un vecchio professionista che combatte da quando era un ragazzino, e la rabbia iniziale con il tempo si è stemperata in una prudente saggezza da lavoratore. Per lui conta tenersi in forma, trovare incontri remunerativi e non ferirsi in modo grave, non tanto per paura del dolore quanto per non restare fuori dal giro. Il problema è che, per risparmiare, Lucero arriva dal Messico a Stockton in corriera. Il viaggio è lungo e faticoso e nel tragitto lui mangia qualcosa che gli fa male. Forse una testa di mucca arrostita che ha comprato dal finestrino (dico: una testa di mucca arrostita. Se non vi bastasse, sappiate che il vecchio Arcadio la rosicchia tenendola per un corno). Il giorno dell’incontro ha una forte dissenteria e le gambe di piombo: cerca di combattere senza muoversi troppo, facendo ricorso a tutti i trucchi che conosce, ma Billy alla terza ripresa gli molla un montante allo stomaco e si accorge che quello è il suo punto debole, continua a lavorarlo laggiù e lo manda al tappeto. Non che lui finirà meglio, comunque.
L’unico romanzo di Leonard Gardner è proprio un bel libro, e oggi mi chiedevo: quali sono le cose migliori che ho mai letto sulla boxe? Ecco la mia classifica. Per primo F.X. Toole, Lo sfidante (è la raccolta di racconti che ha ispirato Million Dollar Baby). Secondo Thom Jones, con ben due titoli: Il pugile a riposo e Sonny Liston era mio amico. Terzo Craig Davidson, Ruggine e ossa. Fuori concorso c’è un grande racconto di Jack London, Una bella bistecca, e un paio dei miei preferiti di Hemingway: Il lottatore e La luce del mondo (un racconto di cui Ernest disse sempre che piaceva solo a lui: no, Hem, è piaciuto anche a me!). Ora dovrò capire dove mettere Fat City.
Leonard Gardner, Fat City, Fazi 2006