Esce oggi un libro che i lettori
di questo blog hanno visto nascere. Ho cominciato a scriverlo più o
meno tre anni fa, senza immaginare che cosa sarebbe diventato: vivevo in
montagna da qualche tempo, leggevo i Racconti dell’altopiano di Mario Rigoni Stern e quei ritratti di alberi,
animali e uomini divennero la mia enciclopedia, occhi con cui guardare il
paesaggio che avevo intorno. Ero immerso in un gran silenzio. Dalla finestra
della baita inquadravo un pezzetto di bosco e lo vedevo trasformarsi: frustato
dalle piogge primaverili, inghiottito verso sera dalle nebbie che salivano dal
fondovalle, popolato dalle ombre nitide della luna piena. Anche lo scorrere del
torrente, il soffio del vento nei prati sembravano mormorii e sussurri, di
notte mi agitavano i sogni. Ero andato lassù per ricominciare a
scrivere, e ora so che la montagna mi stava educando all’osservazione e
all’ascolto, all’attenzione necessaria
alla scrittura. Finché mi venne
naturale aprire un quaderno nuovo e cercare di riprodurre l’eco di quelle
presenze in parole. Prima furono alberi. Poi torrenti e nevai. Poi ancora
lepri, volpi, cani, mucche, uccelli, caprioli. Infine persone. Due in
particolare: uomini che avevo incontrato lassù e con cui stava nascendo
un’amicizia profonda.
Perché mi pare così importante ricordare com’è cominciata? Perché, dopo tre anni e diverse rielaborazioni, il libro ha finito naturalmente per essere un libro su di me. Questo mi imbarazza molto. Uno scrittore dovrebbe coltivare la timidezza, scomparire dentro le sue storie. Deporre le armi della narrativa e dire io, confessandosi a un pubblico di sconosciuti, più che un gesto di coraggio mi sembra un grave peccato di narcisismo. Per questo ho provato a dar voce a un io schivo, come i miei amici montanari: ho eliminato gli specchi di casa e passato molto tempo alla finestra, pur sapendo che scrivere di alberi e animali era un altro modo per scrivere di me, solo nascondendomi nel larice caduto, nella volpe che di notte viene in cerca di cibo, nei ruderi infestati dalle ortiche, nei laghetti d’alta quota e negli ultimi nevai d’agosto. Poi a volte ci sono stato costretto, a dire io. Sono stati i capitoli più penosi, come quei pendii ripidi e brulli che non danno alcun piacere, e li risali a passo lungo e testa bassa per superarli il prima possibile. Scrivendoli mi veniva da chiedere scusa. E mi sono sentito molto meglio quando infine il sentiero ha svoltato e ho potuto tornare a descrivere i suoni del bosco, i gesti di un amico.
Esiste una tradizione di libri sull’eremitaggio, anzi sull’eremitaggio nella natura, che va da Walden di Thoreau fino al recente, bellissimo, Nelle foreste siberiane di Sylvain Tesson. Ne sono usciti diversi in questi anni e credo di averli letti tutti. Se di fenomeno letterario si tratta, ho idea che non sarebbe mai diventato tale senza Into the Wild: forse io stesso non sarei andato a vivere in montagna se non avessi scoperto la storia di Chris McCandless, un santo cercatore che mi è stato d’ispirazione all’inizio e di conforto nei momenti duri.
Rispetto alla sua Alaska, la montagna in cui ho vissuto non è affatto un luogo selvaggio, ma una civiltà abbandonata. Ho scritto di ruderi, scheletri, paesi fantasma, vecchie cose seppellite che spuntano dal terreno, e temo ci sia un senso di morte che pervade tutto il libro. Giusto così: anch’io avevo cose seppellite da tirare fuori. Ho sempre scritto di ragazze per un motivo puro e semplice: la paura boia di scrivere di maschi, ma prima o poi sapevo di doverla affrontare. Ora penso di aver cominciato a guardarla in faccia. Qui sono tutti maschi, perfino gli stambecchi e i cani, e si potrebbe anche leggere Il ragazzo selvatico come il libro di un uomo che fa i conti con la sua natura maschile. Anche ritrovando un corpo, assaporandone la libertà e la forza. Ripensando ai vecchi maestri e cercandone di nuovi. Come successe a Chris, ero partito per stare da solo ma poi la mia è diventata una storia di incontri, e non sono sicuro di avere imparato un granché durante il viaggio, ma la cosa più bella che mi è rimasta sono i miei amici. Questo libro è per loro.