Esce in questi giorni il nuovo numero di Granta Italia, una bella rivista letteraria nonché una delle ultime a sopravvivere in libreria. Si intitola Geografia e c'è dentro anche un mio racconto. Per me è un passo importante per diversi motivi: uno, è il primo racconto che scrivo dai tempi di Sofia, cioè ormai da troppi anni; due, è il mio primo racconto di montagna, e in un certo senso è uno studio per la storia che sto scrivendo adesso; tre, è nato dall'amicizia con un altro ragazzo selvatico, Daniele Girardi. Daniele è un artista visivo che da molto tempo si dedica alla vita nei boschi, e a rappresentarla nel suo lavoro. Lo scorso febbraio abbiamo bivaccato insieme per un paio di notti nel Parco Nazionale della Valgrande, l'area disabitata più estesa delle Alpi. Da quell'esperienza è nata una storia accompagnata da qualche pagina dei suoi taccuini (come Daniele ha avuto modo di dirmi una volta, per lui l'opera d'arte è andare nel bosco: il resto sono solo appunti). Ecco qui l'inizio.
Nella notte c'era stata una gelata e l'erba morta crepitò sotto le scarpe di Pietro, quando scese dalla macchina a Cicogna. L'aria di febbraio gli s'infilò giù per il collo e lo svegliò dal torpore della guida. In paese non c'era un'anima, né aveva incrociato nessuno lungo la strada che saliva fin lì: solo muri di pietra rugginosa, balconi di legno annerito e tetti verde muschio, l'asfalto rotto e incrostato dal sale degli spazzaneve. Aveva pensato di mangiare qualcosa prima di partire, ma ora vide che il circolo in paese era chiuso. Chiuso l'ostello, chiusi gli uffici del parco, in letargo gli orti e i giardini. Spalancò il bagagliaio e il cane che chiamava Nebbia saltò giù e corse dritto nel bosco, dove raspò il fogliame tra i castagni, annusò la terra umida che c'era sotto, trovò tracce di selvatici e si allontanò seguendole a muso basso, da cacciatore. Pietro aveva poca voglia di camminare, con le gambe fiacche e lo stomaco rivoltato per tutto il bere della sera prima: era uscito a cena con la sua ex moglie, Monica, e verso la fine della serata le aveva promesso di lasciarle la casa libera per un paio di giorni, in modo che lei potesse venire a prendersi la sua roba con calma. Prima c'era stato un litigio feroce. Dopo, una metodica e solitaria perdita di coscienza. Aveva sperato che l'incontro finisse in tutt'altro modo. Con gli occhi che gli bruciavano guardò in su, verso la linea della neve, e pensò che per un'ora o due avrebbe avuto problemi col ghiaccio, specie nei punti in cui il vallone piegava verso nord; poi nella neve il passo sarebbe stato più faticoso ma sicuro. Sperava e non sperava di trovare una traccia. Una traccia voleva dire fatica in meno ma anche compagnia indesiderata. Prese gli scarponi dal bagagliaio, si levò le scarpe e mise in una delle due quello che aveva in tasca, il portafoglio, le chiavi di casa, dopo un'esitazione anche il telefono. Infilando gli scarponi gli sembrò di entrare in un vecchio vestito comodo. Si caricò lo zaino in spalla, e sapeva di averlo preparato male: era troppo intontito quella mattina per fare uno zaino come si deve, e infatti pesava troppo. Decise di tenerselo così per punizione. Chiuse la cinghia sulla pancia, ficcò i pollici negli spallacci e imboccò il sentiero che entrava nel bosco. Poco dopo il paese scomparve alla vista; a Pietro sembrò di varcare un qualche tipo di soglia.
Il ragazzino della stagione delle piogge è diventato adulto...grazie, Capitano, mi mancava troppo qualcosa di tuo, lo leggerò.
RispondiEliminaCiao.